La riduzione dell’orario di lavoro diminuisce lo stress e non intacca la produttività delle aziende, in alcuni casi aumentandola. Lo mette nero su bianco uno studio pilota effettuato in Gran Bretagna su 61 aziende – circa 2.900 lavoratori – nell’arco di 6 mesi: la settimana lavorativa di quattro giorni anziché cinque, senza alcuna diminuzione dei salari, sembra essere più proficua per tutti. Una formula innovativa, che molti paesi ora stanno prendendo in considerazione, cercando di mettere in luce sin da subito quelli che potrebbero essere gli aspetti negativi a medio e lungo termine per aziende e dipendenti. Per stabilire i reali benefici di questa soluzione, infatti, occorre ancora valutare il suo impatto sul lungo periodo e su aziende con ambizioni e dimensioni diverse tra loro.
Lo studio
Lo studio inglese – il più ampio al mondo sull’argomento -, coordinato dall’organizzazione no profit 4 Day Week Global e dal centro studi britannico Autonomy, ha coinvolto gruppi di ricerca di diverse università: in Irlanda (University College Dublin), nel Regno Unito (Salford University), in Belgio (Libera Università di Bruxelles) e in Massachusetts (Boston College).
Un progetto che ha previsto dapprima una preparazione graduale delle aziende coinvolte con incontri e workshop, poi un’indagine sull’esperienza dei /delle dipendenti. Per partecipare alle società non è stato richiesto di adottare un particolare orario di lavoro, purché ci fosse una riduzione e ovviamente la retribuzione rimanesse invariata. Tra le diverse proposte (quattro giorni lavorativi fissi; scaglionati; giorni lavorativi fissi con elemento condizionale), la maggior parte delle imprese ha scelto l’opzione del “venerdì libero”, in aggiunta al sabato e alla domenica.
Tutti i vantaggi per il personale dipendente
Per i/le dipendenti non ha significato solo un giorno di riposo in più, ma ristabilire il work-life balance, il cui calo continua ad essere tra le cause principali di dimissioni nel mondo.
Il 54% delle persone intervistate ha detto di aver conciliato più facilmente il lavoro con gli impegni familiari e di cura; il 62%, il lavoro con la propria vita sociale. In tutto ciò, molte si sono dette più soddisfatte della gestione del proprio tempo e delle proprie relazioni e finanze, tanto che il 15% ha riferito anche di essere disposto a guadagnare di meno pur di non tornare alla settimana lavorativa di cinque giorni.
Il numero delle dimissioni è calato del 57%.
Le settimane lavorative: meglio “corte” o “flessibili”?
Tutti vantaggi che, ad ogni modo, non bisogna dare sempre per scontati: le realtà che sono state coinvolte sono per lo più di piccole dimensioni, già intenzionate a investire nella “settimana corta”. Elementi che inducono a pensare che, se la medesima formula fosse estesa a tutte le imprese del nostro paese, ad esempio, il risultato potrebbe non essere lo stesso.
Una ricerca qualitativa svolta in Nuova Zelanda su un’azienda di medie dimensioni, mostra che passare alla “settimana corta” aumenta anche il rischio di scontrarsi con il “Super Lavoro”: ridurre la settimana lavorativa, secondo lo studio, ha significato, infatti, aumentare il carico giornaliero, così come la pressione dall’alto. Le interviste raccontano che quella che sembrava la promessa di benefici e flessibilità si è invece concretizzata in un monitoraggio costante delle prestazioni, senza alcun interesse pro-sociale e collettivo.
Un passo da valutare con attenzione, dunque, soprattutto se si considera come una eventuale soluzione per attrarre nuove risorse in cerca di work-life balance o come rimedio per le “fughe” di talenti dall’ufficio, promettendo loro più tempo libero.
La flessibilità: primo step per il cambiamento
Per arrivare ad un miglioramento in termini di elasticità aziendale che apporti benefici a 360 gradi, quindi, diventa innanzitutto indispensabile prendere in considerazione il cambiamento delle dinamiche lavorative che ha apportato la pandemia in questi anni: ne ha risentito più del 93% dei/delle dipendenti a livello globale.
Valore D, con la collaborazione di 60 aziende partner e l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, ne ha messo sotto i riflettori i mutamenti più profondi in un ebook gratuito dal titolo: “Da smart a blended working: come sarà il futuro del lavoro” (HarperCollins). Una guida che analizza, attraverso le testimonianze raccolte, le nuove modalità dell’attività professionale, nell’uso degli spazi e dei tempi: sono le coordinate per capire a che punto si è in questa rivoluzione e come bisogna procedere senza intoppi in quel processo di flessibilità lavorativa per molte aziende virtuose già in atto.