Il 44% delle aziende in Italia ha difficoltà a trovare candidati nelle materie STEM (Deloitte, Rethink STE(A)M education). Nel nostro Paese, infatti, solo 27,6% degli studenti totali – 19% delle studentesse – si laurea in discipline STEM (Fonte: Elaborazione Valore D su dati Almalaurea 2022). Dati che mettono in allarme, alla luce di quelli che saranno i ruoli più richiesti dal mercato del lavoro entro il 2025: 9 su 10 proprio legati alla tecnologia e al digitale (BCG & Women’s Forum “Women in tech – The network Effect”, 2022).
Poco orientamento e “Ispiring Models”
Professioni su cui Valore D ha già ha puntato l’attenzione con Wanter: una piattaforma digitale, nata con patrocinio del Ministero del Lavoro e del Ministero delle Politiche Giovanili per orientare in maniera corretta gli studenti:
“una guida – secondo Barbara Falcomer Direttrice Generale Valore D – che aiuti a scoprire un mondo del lavoro ricco di opportunità e libero dagli stereotipi che ancora influenzano, soprattutto le ragazze, nelle loro scelte scolastiche e professionali”.
Se spesso, infatti, a mancare è un supporto appropriato, la difficoltà principale in Italia rimane quella di abbattere gli stereotipi di genere, nati e incuneati con retaggi culturali presenti da decenni: non è un caso che da noi le donne dedicano molto più tempo che in Europa ai carichi di cura in famiglia, con pochi Ispiring Models, a cui le studentesse potrebbero far riferimento nel momento di scegliere la rotta.
STEM: una sfida al femminile estenuante
Ma non è solo questo, certamente, il motivo per cui le “donne STEM” sono introvabili per le aziende.
Il discorso, che parte dalle scelte universitarie, arriva fino al contesto lavorativo: lo rivela l’intervista realizzata dalla BCG e dal Women’s Forum (“Women in tech – The network Effect”, 2022) in Francia, Germania, Italia e Regno Unito, su un campione di oltre 1.500 donne e uomini, che ricoprono ruoli apicali nel settore tecnologico.
In questi ambienti, le dipendenti si ritrovano ad affrontare sfide lavorative che ai colleghi uomini non toccano, con una maggiore pressione che le porta continuamente a dover dimostrare le proprie capacità: rispetto a loro, sentono di dover lavorare di più per ottenere lo stesso riconoscimento. Morale? È un esame continuo, in cui devono dimostrare di meritare il proprio ruolo. E che talvolta porta alla demotivazione.
La demotivazione è donna, tranne se c’è una mentorship
La fatica, del resto, inizia sin dalla ricerca dell’impiego. Il report mostra che gli studenti maschi appena usciti dall’università, oltre alla loro rete di contatti, sanno di poter contare appieno sulle loro capacità e mostrano molta più fiducia in sé stessi.
Le studentesse, invece, devono coltivare amicizie, potenziali mentori o affidarsi a gruppi di affiliazione o membri della famiglia per evolversi in questo settore. Secondo quello che dicono le donne, la mentorship ideale si evolverebbe in una “sponsorizzazione”: una persona senior in grado di sostenere attivamente la loro carriera.
Se le Aziende diventassero “mentori” delle donne
Alla luce di tutto questo, se ci sono le organizzazioni che aiutano ad orientarsi e a sostenersi nel settore tecnologico, il primo passo nel mondo delle STEM potrebbe essere fatto anche direttamente dalle aziende, con programmi formali in cui sviluppare relazioni di mentorship, indipendentemente dal fatto che tra i dipendenti si sviluppino anche a livello personale.
Percorsi lineari e riconosciuti, per mettere nero su bianco le difficoltà vissute e il modo in cui possono essere risolte.
Una soluzione, che come già sta accadendo in altre realtà imprenditoriali, oltre ad incentivare chi tende a demotivarsi e a favorire l’ingresso delle donne nel settore, possa agevolare al confronto, al coinvolgimento attivo e a incrementare il valore femminile nel mondo del lavoro messo da parte da troppo tempo.
Non solo. Modalità con cui le imprese potrebbero ufficialmente aprire la propria prospettiva, avviandosi verso il riconoscimento della Certificazione della Parità di Genere. Nel report diffuso da BCG e Women’s Forum risulta che è ben il 40% degli intervistati ad ammettere che la propria azienda non dispone di programmi DE&I (Diversity, Equity and Inclusion). Guardando, invece, alle imprese che hanno adottato tali policy, il 21% delle donne e il 27% degli uomini ritiene che tali programmi non siano efficaci per favorire la diversità di genere nel top management.