Mancano le donne a lavoro: più povertà in famiglia e in azienda 

Se con la pandemia il prezzo pagato dalle lavoratrici italiane nel mercato del lavoro è stato il più elevato che nel resto d’Europa, ora il rapporto ISTAT 2022 lancia l’allarme: la mancata valorizzazione delle donne in questi ultimi anni può arrivare ad intaccare il benessere delle famiglie del Bel Paese. L’Italia, che ha subito la maggiore caduta dell’occupazione tra i paesi europei – dopo la Grecia (-5,1%) e la Bulgaria (-3,6%), ha visto, infatti, a casa 376 mila donne (-3,8% rispetto al 2019), a fronte di un impatto di genere mediamente più omogeneo nel resto dell’Ue.

Una situazione che non ha messo solo i bastoni tra le ruote allo sviluppo del gender femminile ma anche alla crescita e alla produttività del paese, considerando il valore femminile riconosciuto: l’Italia, dunque, che poteva auspicare fino a 7 punti di PIL in più, oggi rischia di creare povertà in un momento già difficile per il Paese.

 

Le famiglie italiane: meno di 5 donne su 10 lavorano 

Dati alla mano, oggi non si raggiunge neanche la metà dei nuclei familiari in cui entrambi i componenti lavorano. Situazione che non permette la condivisione delle responsabilità familiari, e che spesso porta a ridurre le possibilità di contrattazione di chi rimane in casa ed è dipendente economicamente. Tutti fattori che portano a riprodurre i classici stereotipi di genere, piuttosto che smarcarli una volta per tutte, come dovrebbe accadere in un paese avanzato.

Il quadro, del resto, non è migliorato neanche lo scorso anno, nonostante una ripresa generale. I livelli di occupazione delle donne non sono tornati al 2019, rimanendo sotto il 50%. Nel dettaglio, è rimasto più critico il Sud dove lavora solo una su tre, meglio al nord, ma fermi agli obiettivi del 2010: le occupate sono 6 donne su 10.

 

Sempre più squilibrio in azienda

Gli anni della pandemia, inoltre, non hanno neanche aiutato ad attenuare le diseguaglianze già presenti sul posto di lavoro. Una situazione di squilibrio che già era emersa nel dettaglio nel nostro report pochi mesi fa. Nei contesti aziendali, circa la metà delle intervistate – tra manager, dirigenti, quadri e imprenditrici tra i 30 e i 50 anni – riteneva esistessero disparità nella possibilità di carriera e nei compensi tra uomini e donne. Non solo. Il 30% vedeva la propria posizione non in linea con le proprie competenze ed aspettative; il 36% non sentiva adeguatamente valorizzate le proprie competenze; il 40% non sosteneva adeguata la propria retribuzione.

Ad aggiungersi a questo, il report ISTAT mette nero su bianco la diversa importanza del titolo di studio nell’occupazione di donne o uomini: nel 2021 il 76,4% del tasso di occupazione è stato coperto da donne laureate, con un distacco di 22 punti percentuali rispetto a coloro che possiedono il diploma. Diversa la situazione degli uomini: tra gli occupati con laurea o con diploma c’è una differenza di soli 10 punti (83,1% vs 73,1%): il grado di studi è un requisito meno indispensabile per entrare in azienda, nonostante poi siano loro i primi a salire ai piani alti.

Uno squilibrio che si crea a causa della mancanza di una reale struttura organizzativa che riduca le differenze di genere, per la quale, finalmente, si sta lavorando.

 

Certificazione della Parità di Genere: passo storico 

Un passo storico per abbattere il gender gap è l’arrivo della Certificazione della Parità Di Genere: documento che valuta in che modo le iniziative adottate dai datori di lavoro riducono i divari su opportunità di crescita, parità salariale a parità di mansioni, e che chiarisce come si gestiscono le differenze di genere e la tutela della maternità.

Un procedimento, che se sulla carta era pronto a partire già da tempo (con la legge 162/2021 introdotta dal Pnrr e nella legge di Bilancio 2022), è ora, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto, che è pronto a cambiare le carte in tavola e a scardinare la situazione creata finora.

“È l’implementazione di un sistema di misurazione utile non solo per le imprese ma per tutta la società civile – commenta Cristiana Scelza, Presidente di Valore D -. L’inclusione delle diversità e la promozione dell’empowerment femminile diventano così finalmente dei Kpi per il settore produttivo. Come Valore D siamo liete di essere al fianco delle Istituzioni e in particolare del Ministero per le pari opportunità e la Famiglia per far sì che tutti gli obiettivi del PNRR in materia di parità di genere vengano presto raggiunti”. 

A prescindere dalla dimensione, dalla natura e dall’attività dell’impresa, dunque, qualunque attività adesso potrà essere alleata della parità di genere, anche con vantaggi economici non indifferenti. La Certificazione, infatti, prevede lo sgravio contributivo dell’1% sui contributi fino a 50 mila euro all’anno e un punteggio premiale per la concessione di aiuti di stato e/o finanziamenti pubblici in genere, con un miglior posizionamento in graduatoria nei bandi di gara per l’acquisizione di servizi e forniture. “Non un bollino rosa – ha sottolineato Elena Bonetti, Ministra per le Pari opportunità e la famiglia – ma uno strumento innovativo che definisce un processo migliorativo nel mondo dell’impresa”.

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