Può essere definita democratica una società che esclude, in un modo o nell’altro, molti dei suoi partecipanti? Per l’Italia – ancora all’inizio nella lotta per la parità dei diritti – la Giornata della Democrazia diventa momento di riflessione per chi, quando alza la mano, rischia di essere messo da parte: gender gap, disuguaglianze dal mondo della formazione, forti disparità retributive, oggi sono problematiche che continuano ad avere pesanti ripercussioni sul nostro Paese.
L’Italia, infatti, fa fatica a riconoscere le diversità, che invece di essere valorizzate si trasformano in vere e proprie disparità. Oggi alla base di molti disordini sociali e malessere economico.
La disparità nasce già nella formazione
In questa giornata che coincide con la riapertura della maggior parte delle scuole, viene spontaneo partire proprio da dove nasce tutto: dalla formazione delle nuove generazioni. Proprio lì, tra i banchi di scuola, zona sterile di luoghi comuni, si consolidano le prime differenze tra maschi e femmine, diventando talvolta “barriere” culturali, se in famiglia germogliano retaggi patriarcali.
Le materie STEM, ad esempio – ancora concepite come cose da “uomini” – faticano ad essere scelte in maniera univoca senza appellarsi a stereotipi sul gender. Una battaglia che Valore D persegue con Wanter, piattaforma gratuita che aiuta i ragazzi all’orientamento, mostrando che il futuro sarà colmo di impieghi fondati sulle materie scientifiche.
Una consapevolezza da prendere tutti, alla luce degli ultimi dati: lo scorso anno abbiamo avuto solo un 27,6% di laureati e il 19% di laureate uscite da queste facoltà (Fonte: Elaborazione Valore D su dati Almalaurea 2022). Secondo le statistiche, inoltre, sono tante poi le ragazze che successivamente lasciano l’ambiente STEM: dai percorsi specializzati fino alle aziende, questi settori diventano così per lo più nicchie maschili – apici imprenditoriali inclusi – con un gender gap sempre più consolidato.
Disparità retributiva: nelle aziende private dal 16 al 70%
In Europa ci vorranno 60 anni per abbattere il divario tra uomo e donna (Global Gender Gap Index 2022). L’Italia, nella classifica del vecchio continente stilata dal World Economic Forum, si posiziona sotto la linea di mezzo, in venticinquesima posizione su 35 paesi.
Eppure la parità di genere sui posti di lavoro sarebbe un incremento del business non indifferente.
Secondo il report Istat 2022, l’Italia avrebbe potuto addirittura auspicare a 7 punti di PIL in più con l’occupazione femminile, se non fosse crollata con la pandemia.
Dati che hanno incentivato l’introduzione effettiva della Certificazione della Parità di Genere nelle aziende. Obiettivo: mostrare come le scelte (vecchie e nuove) negli uffici siano “democratiche”, mosse da parità nelle mansioni e nel salario, senza divari su opportunità di crescita.
Un processo che oggi punta a non sminuire il gender femminile e ad eliminare il paygap, che nel privato arriva ad essere il 16% e che ai piani alti – nei Consigli d’Amministrazione, nello specifico – arriva a sfiorare il 70%.
Disparità sociale
Certamente eliminare il paygap sarebbe un grande passo. Ma solo il primo. In casa, ad esempio, permane la disparità nella suddivisione dei carichi di cura. Una problematica trasversale in tutto il Paese ma che colpisce particolarmente al sud dove è quasi sempre “lei” ad occuparsi della famiglia, non potendo così svolgere una professione.
Secondo l’ultimo report Istat (Nidi e servizi educativi per bambini tra 0 e 6 anni, settembre 2022) nelle provincie di Reggio Calabria, Vibo Valentia e Caserta si tratta di una vera e propria emergenza per chi deve badare ai bambini sotto i 3 anni: solo 2 piccoli su 100 possono essere ospitati nei nidi comunali (e convezionati), con il risultato che sono le mamme a rimanere al focolare. La situazione migliora un po’ nelle altre regioni del sud, ma poco: si tratta di 15 bambini su 100. Gli altri rimangono a casa, e quando possibile vengono affidati a delle strutture private. Bisogna andare al nord per oltrepassare il 30% delle possibilità di cura nei nidi.
Una situazione che, rispetto al potenziale bacino di utenza in media, è passata dal 25,5% del 2018 al 26,9% del 2019, ma è ancora lontana dal parametro UE del 33%, che era stato fissato dal Consiglio europeo di Barcellona per il 2010 per incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Certo è che la soluzione per una migliore conciliazione della vita familiare con quella lavorativa potrebbe andare oltre l’utenza degli asili.
Ad oggi un piccolo spiraglio arriva con la possibilità di lavorare in modalità agile per i genitori di minori di 14 anni e di soggetti fragili: una proroga però fino al 31 dicembre.
Diversa la lezione dalla Finlandia che tratta in toto situazione del congedo parentale: la novità per il paese nordico è che ora entrambi i genitori godono di 160 giorni a testa, con la possibilità di trasferirne 63 al partner o a chi si prende cura del figlio/a. Non solo: chi è in stato di gravidanza gode di ulteriori 40 giorni di indennità prima di iniziare a recepire il pagamento dell’assegno parentale. Misure valide per ogni modello di famiglia. Senza accenni sul sesso dei genitori. Per una democrazia vera, da festeggiare, appunto.