“Greedy jobs”? Insostenibili per le donne che si occupano dei carichi di cura

Ci sono lavori che le donne non possono scegliere, se in casa non si condividono i compiti dedicati ai carichi di cura. Sono chiamati “Greedy jobs”, ossia lavori “avidi”. Non richiedono un particolare numero di ore, ma una reperibilità massima – fine settimana, vacanze, festività, ora di cena – che paga sproporzionatamente di più. Un cliente esigente può chiamare alle 23 o un supervisore chiedere di rinunciare alle ferie per un progetto dell’ultimo momento, ad esempio. Richieste che una donna che si occupa della famiglia difficilmente può accogliere.
Al contrario, chi invece le può accettare ha opportunità di carriera migliori.

“I lavori avidi hanno scadenze molto stringate, occupano la vostra vita e non vi lasciano andare. Ma possono essere molto redditizi: il dipendente disposto a lavorare a tutte le ore è quello che ottiene le ricompense maggiori”, afferma l’economista di Harvard Claudia Goldin nel libro del 2021 Career and Family.

Per mettere le donne in condizione di portare avanti carriera e famiglia, con le stesse soddisfazioni professionali e trattamento economico degli uomini, una soluzione secondo la studiosa c’è: “abolire le mansioni aziendali che pretendono la reperibilità – afferma – i Greedy jobs hanno portato a una scioccante disparità di retribuzione”.

Una “non scelta”, dunque, per chi è destinata a sacrificarsi in casa e si deve adeguare a ruoli meno autorevoli.

 

Donne alla ricerca del work-life balance

Secondo l’Istat, 6 donne su 10 tra i 45 e i 64 anni si occupano in prima persona della cura della famiglia, dovendo mettere in secondo piano il lavoro. Rispetto agli uomini, è la percentuale più elevata tra i paesi europei: numeri che chiariscono subito perché il “work-life balance” è tra le loro prime richieste nella ricerca di un impiego.

In Italia secondo il report di Valore D “Lavoro di cura e genitorialità” (marzo 2022), le donne con almeno un bambino e che a causa maternità non hanno mai lavorato sono arrivate ad essere l’11,1%, rispetto ad una media europea del 3,7%.

Una situazione che con l’età diventa ancora più gravosa.
Tra i 50 e i 60 anni, oltre ai figli, ci si ritrova spesso a doversi dedicare anche ai genitori anziani: una vera “generazione sandwich”, schiacciata tra due realtà, che non può contemplare un lavoro, a meno che non sia “agile”.

 

“Lavoro agile”: una soluzione per la condivisione dei carichi di cura

Ed è il “lavoro agile” che a questo punto potrebbe essere una “salvezza” per chi si sta mettendo da parte nel mercato del lavoro. Oltre ad una soluzione per il nostro paese. L’Italia, a differenza degli altri stati membri, infatti, non riesce a valorizzare abbastanza le lavoratrici, che invece apporterebbero ricchezza alle imprese, come già dimostrato in passato.

Indispensabile, per la diffusione dei lavori agili, sarebbe ripartire dall’idea che dedicarsi alla famiglia sia un bene non solo per le donne ma per tutta la società. Un modo per abbattere quello che continua ad essere una tendenza radicata da decenni e confermata anche dagli ultimi dati: al crescere del nucleo familiare, aumenta esclusivamente il tasso di occupazione dei padri.
Di contro, diminuisce quello delle madri (Le Equilibriste, Save the Children, 2022).

In Europa, dunque, si lavora ad una legge per tutelare chi punta a lavorare a distanza. L’obiettivo è evitare che molti ruoli si trasformino in opprimenti “Greedy jobs”, ma anche creare un buon “work-life balance” per tutti, a vantaggio della condivisione dei carichi di cura. Nei Paesi Bassi la legge è già stata approvata dalla Camera e a breve arriverà in Senato. In Italia invece, con la fine dello stato di emergenza, il primo settembre si ritornerà alla vecchia disciplina sul lavoro da remoto, regolata dalla Legge n. 81 del 22 maggio 2017. Ogni azienda è in attesa del via libera per le richieste in smart working da parte dei dipendenti: priorità a chi ha figli fino a 12 anni o con disabilità, e ai caregiver familiari.

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