A interrompere la catena di uomini al comando della World Trade Organization dalla sua creazione nel 1995 è arrivata Ngozi Okonjo-Iweala, prima donna e prima africana nel ruolo di segretario generale: entrerà ufficialmente in carica il prossimo 1 marzo fino al 2025. Un compito cruciale, in cui l’ex Ministra delle Finanze nigeriana dovrà tirare fuori tutte quelle qualità di negoziatrice che l’avevano già condotta a tagliare altri importanti traguardi: Ngozi Okonjo-Iweala è stata la prima donna Ministro degli Esteri in Nigeria, con una formazione da economista dello sviluppo – ha lauree al Massachusetts Institute of Technology (MIT) e Harvard. Ha trascorso gran parte della sua carriera alla Banca Mondiale, è giustamente celebrata come una pioniera nel suo Paese.
«Un WTO forte è essenziale se vogliamo riprenderci completamente e rapidamente dalla devastazione causata dalla pandemia del Covid-19. Insieme possiamo rendere il WTO più forte, più agile e più adatto alle realtà di oggi» ha detto Ngozi Okonjo-Iweala, tracciando la rotta per il suo mandato.
Quali sono le altre donne ai vertici di di organizzazioni internazionali?
Nel novembre del 2019 per la prima volta una donna è stata nominata alla guida di quella Banca Centrale europea, diretta sino ad allora da Mario Draghi, con la francese Christine Lagarde; alla Commissione Europea troviamo Ursula Von der Leyen e al FMI Kristalina Georgieva, ex presidente ad interim della Banca Mondiale. Anche la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) dall’anno scorso ha una nuova presidente, Odile Renaud-Basso.
Ma se le prime donne che abbattono il soffitto di cristallo in qualsiasi settore fanno notizia per il loro traguardo, la vera conquista sarà la normalizzazione, ossia accogliere come un evento ordinario una donna in posizioni chiave e di potere.
E le donne in politica? Uno sguardo globale
La pari partecipazione e la leadership delle donne nella vita politica sono essenziali per la pluralità del processo democratico: non si può dire che la democrazia esista se metà della popolazione non è impegnata in egual misura nel processo decisionale. Ma le barriere strutturali, dovute anche alla cultura prevalente, limitano ancora le possibilità delle donne.
Secondo recenti dati di UN Women, su scala globale, su circa 200 Paesi, solo 21 sono guidati da capi di Stato donne e 119 paesi non hanno mai avuto un leader donna. Al ritmo attuale, la parità nelle più alte decisioni di potere non sarà raggiunta per altri 130 anni, sostiene l’ONU. Nel mondo solo il 21% dei ministri dei governi sono donne, e solo 14 paesi hanno raggiunto il 50% o più di donne negli organi di governo. Nel potere legislativo solo il 25% di tutti i parlamentari sono donne e solo 4 paesi hanno il 50% o più di donne in parlamento. Potrebbe sorprendere i Paesi con maggiore rappresentanza femminile sono il Ruanda con il 61%, Cuba con il 53%, la Bolivia con il 53% e gli Emirati Arabi Uniti con il 50%.
I primati europei
Dall’Europa, soprattutto del Nord, arrivano esempi molto positivi. L’ultima, in ordine di tempo, è Kaja Kallas che ha prestato giuramento, diventando la prima donna premier a guidare un governo in Estonia, il primo e il solo Paese al mondo ad avere due donne (l’altra è il presidente del Paese baltico dal 2016, Kersti Kaljulaid), nelle due principali posizioni di capo dello Stato e capo del governo. Gli esempi positivi: Sanna Marin, la premier finlandese, è la più giovane leader del mondo. Una donna nel ruolo di Primo Ministro c’è anche in Islanda, Norvegia, Danimarca, Lituania. E come non ricordare la tedesca Merkel, eletta nel 2005 come prima Cancelliera della Germania, al primo posto tra le donne più potenti, secondo Forbes.
Andando invece con lo sguardo oltreoceano, se la vicepresidenza di Kamala Harris ha un forte impatto simbolico, vale sempre la pena salutare l’incarico di vertice, sperando che funzioni come catalizzatore di una maggiore e migliore presenza di donne nella politica mondiale e che non si limiti ad essere un’eccezione o una curiosità, bensì l’indicatore di un cambiamento in corso, come sembra dimostrare anche l’ampia compagine di donne indicate dal presidente Biden nella sua amministrazione.
E in Italia? Il progresso c’è ma va a rilento. Resta da vedere se ciò che accade altrove riuscirà a innescare un’accelerazione ma il contesto continua a presentarsi come poco permeabile al cambiamento.