Donne nelle stanze dei bottoni: riflettiamoci insieme

Parliamo tanto di necessità di diversità. Ma le donne nei board delle aziende fanno la differenza sì o no? La loro presenza ha effettivamente un peso? Se lo chiede Enrico Verga su Econopoly di Il Sole 24 Ore. La domanda è più che lecita se pensiamo che, nel lontano 2011, il Parlamento ha approvato la legge per l’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle aziende quotate. A partire dal 2012, quei board sarebbero stati obbligati ad essere composti per un quinto da donne. Qualche anno più tardi la quota rosa sarebbe poi salita a un terzo.
Dopodiché, ad inizio 2018, la ricerca Cerved per la Fondazione Marisa Bellisario annunciava che 751 donne occupavano una poltrona nei CdA delle 237 società quotate alla Borsa di Milano, su un totale di 2.244 componenti.
La legge prevede comunque diversi step che si esauriranno nel 2022, ma l’obbligo di un terzo prescritto dalla legge Golfo-Mosca, per il momento, è stato rispettato.
Sarebbe interessante capire come (e se) verrà mantenuto lo scenario di diversità di genere nei CdA alla scadenza di questa legge. È un’altra delle domande di Verga.
Certo, oltre ad essere una questione legale, dovrebbe innanzitutto essere un discorso di morale: le donne servono tanto quanto gli uomini poiché tra i due non c’è differenza.
Eppure. Eppure secondo alcuni il beneficio della presenza femminile è solo un mito. Quando uno è bravo, è bravo sempre, indipendentemente dal genere di appartenenza.
Intanto, secondo l’Osservatorio per l’imprenditoria femminile di Unioncamere-InfoCamere, il 29% delle attività guidate da under 35 ha una donna al comando. 154mila giovani donne sono oggi a capo di un’impresa in Italia. Si occupano di questioni finanziarie, assicurative, immobiliari, sportive, di intrattenimento, scientifiche.
Insomma, le donne imprenditrici stanno facendo passi da gigante. Già nel 2015, una ricerca del McKinsey Global Institute aveva calcolato che, se si iniziasse a restringere il gap, si potrebbero aggiungere 12 trilioni, 12mila miliardi di dollari al Pil del mondo.
Se sono brave, allora, la fanno la differenza! L’introduzione della diversità di genere nei Consigli d’Amministrazione ha quindi un senso, perché permette che la bravura femminile emerga di fianco a quella maschile.
Anche Valore D ha verificato che la diversità di un’azienda, a partire dalla composizione del proprio Consiglio di Amministrazione, porta benefici – pure finanziari. Eccome se ne porta. E per supportare le donne manager pronte ad entrare in un Consiglio, l’Associazione ha già avviato InTheBoardroom 4.0, che forma le donne che ambiscono ad entrare in un CdA su competenze di trasformazione tecnologica, tecnico-legali e di leadership (ne abbiamo parlato qui). Perché, per essere efficace, un board inclusivo deve essere S.M.A.R.T.: sostenibile, meritocratico, agile, responsabile, tecnologico.
Se poi vogliamo interrogarci su altri aspetti positivi della presenza femminile nelle stanze dei bottoni, dati confermano che le donne hanno contribuito ad abbassare l’età media (51,8 anni contro i 58,9 anni di media dei colleghi) e a portare profili internazionali nei board. Dall’entrata in vigore della legge Golfo-Mosca infatti i consiglieri con esperienza all’estero sono quasi raddoppiati (+89%), e ormai una consigliera su tre ha un profilo di questo tipo. In forte aumento (+85,9%) anche i membri con un livello di istruzione post laurea. Sarà un caso?
Grazie Enrico Verga per lo spunto di riflessione.

Articoli correlati