Quiet quitting, il silenzio dei dipendenti inascoltati

Si scrive quiet quitting, si legge distacco mentale ed emotivo dal proprio impiego: è una scelta consapevole da parte del lavoratore di arrivare a fare il minimo indispensabile rispetto alle proprie mansioni e all’orario di lavoro. Succede a chi sente di non potersi esprimere liberamente e allora sceglie di non impegnarsi. Spesso, sono talenti non ascoltati.

Il fenomeno in Italia si è diffuso parallelamente al trend dei grandi abbandoni, che nell’ultimo anno ha creato una vera e propria emorragia nelle aziende: le dimissioni sono arrivate a rappresentare il 67% delle cessazioni totali dei rapporti di lavoro.

I dipendenti alla ricerca del migliore work-life balance

Stando alla ricerca “Global Workforce of the Future” di Adecco (2022) su 34.200 intervistati nel mondo, il 61% dei dipendenti ritiene che la propria retribuzione sia troppo bassa e insufficiente: non sono più disposti ad accettare condizioni penalizzanti e una posizione lavorativa insoddisfacente, senza prospettive di crescita. Nascono così le “dimissioni silenziose”, ossia tutti gli atteggiamenti che limitano la proattività e produttività in ufficio, a salvaguardia dell’emotività personale: il 51% è alla ricerca di un secondo lavoro, quando non è possibile una vera e propria fuga in virtù di una nuova ricollocazione che garantisca uno stipendio più alto (49%).

In tutto ciò, significativo il 75% degli under 40 che predilige datori di lavoro interessati al benessere dei dipendenti: una generazione per cui la professione definisce sempre meno il valore della persona che elegge a priorità un miglior equilibrio nella propria vita privata.

Quitfluencer, la cassa risonanza del web

La tendenza sembra ampliarsi con la fruizione dei canali social.

Secondo il report, ben 7 persone su 10 ammettono che vedere sulle piattaforme online i colleghi dare le dimissioni e cambiare vita fa prendere loro in considerazione l’idea. Avviene nello specifico quando all’assenza di valori come il work-life balance si sommano situazioni di malessere emotivo e alla mancanza di riconoscimenti di merito. Il 50% di questi 7 impiegati si dimette a tutti gli effetti, creando una reazione a catena: soprattutto nei giovani (+25% di casi). Si parla di quitfluencer – chi silenziosamente incoraggia l’idea delle dimissioni –: fenomeno molto preoccupante per le aziende, considerando che la generazione Z già oggi sta cambiando lavoro a un tasso del 134% superiore a quello del 2019 (Workforce Confidence Index, LinkedIn 2022).

Le aziende più colpite? Quelle che formano solo i manager

Succede per lo più nelle società che non formano i  propri dipendenti, in quelle che non reputano fondamentale la crescita professionale del personale per incrementare la competitività sul mercato, che pensano che la soddisfazione dei lavoratori sia sempre direttamente proporzionale ai risultati aziendali.

Secondo l’indagine Adecco, è il 77% degli intervistati a lamentare una carenza di competenze e prospettive. Nel dettaglio, tra i non-manager solo il 36% afferma di essere considerato dalla propria società, il resto si sente escluso dalle opportunità lavorative interne, nonostante queste aumentino e siano disponibili sia per figure dirigenziali che per i non-manager (60% contro 40%).

Una situazione che rischia di lasciare i dipendenti intrappolati nello stesso ruolo per anni fino al logoramento.

Arginare i fenomeni tutelando i propri talenti

Coltivare le proprie risorse a tutti i livelli diventa una soluzione. Il coaching, da sempre, uno strumento prezioso per avere colloqui chiari sui percorsi di carriera più attrattivi, con benefit centrati sulle aspettative del lavoratore: strategia per aumentare la fidelity e risolvere gli episodi di quiet quitting.

Non solo. Rendere più proattive le risorse, investire in formazione, avviare percorsi di upskilling e reskilling, oltre a mirare alle potenzialità dell’individuo, è un vantaggio anche per realizzare spostamenti più fluidi all’interno delle organizzazioni. Fare della mobilità interna una priorità garantisce  la soddisfazione dei propri dipendenti, che  sono così meno interessati a cercare opportunità altrove. (Adecco, Global Workforce of the Future, 2022).

Il bacino dei dipendenti va tutelato e spronato considerando anche leve di retention, come il benessere e la flessibilità. Lo stipendio, usato come tattica per attirare le risorse in azienda, da solo, infatti, non garantisce più la fidelizzazione sul lungo periodo: il 70% ritiene che sia responsabilità dei propri leader garantire loro un futuro lavorativo migliore. Spetta anche alle società agire proattivamente.

 

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