Entro il 2024 le imprese avranno bisogno di circa 1,5 milioni di occupati in possesso di competenze digitali per cogliere le opportunità offerte dalla rivoluzione tecnologica, nella Data Science e Intelligenza Artificiale in primis. Quasi 1 azienda su 4 non trova i profili professionali STEM di cui ha bisogno, secondo Deloitte. Ma le donne ancora scarseggiano in questi settori, rischiando di rimanere ai margini del futuro del lavoro: anche il Recovery Plan prevede di investire più fondi per colmare questo gap. Come possiamo riequilibrare la partecipazione femminile nelle STEM? Quali difficoltà incontrano le donne nel perseguire queste carriere?
Innanzitutto inquadriamo il gender gap nelle STEM partendo dai recenti dati dello studio realizzato dall’Osservatorio Talents Venture insieme al progetto STEAMiamoci di Assolombarda.
I dati del gender gap…
La percentuale di donne che frequenta corsi STEM in Italia è pari a circa il 37%, uno squilibrio evidente ma che nulla ha a che vedere con le capacità o le propensioni di maschi e femmine. Le ragazze iscritte a corsi STEM presentano infatti risultati accademici più elevati ma tassi di occupazione e retribuzione più bassi rispetto agli uomini. Prendendo come campione di riferimento quello dei corsi di Laurea Magistrali del gruppo di Ingegneria, il voto di laurea è di poco più elevato per le ragazze (107,3) rispetto ai ragazzi (106,4), e il 50% delle donne completa gli studi in corso, contro meno del 48% degli uomini, un trend costante negli ultimi cinque anni.
…che portano al pay gap
Come dicevamo, ad un anno dalla laurea, il tasso di occupazione degli uomini laureati nei corsi STEM (91,8%) è più elevato di quello delle donne (89,3%), ma il divario si osserva anche a livello salariale. I laureati STEM uomini dichiarano di percepire in media una retribuzione mensile netta di circa € 1.510 contro i € 1.428 delle loro controparti femminili. Tutto questo si traduce in un gender pay gap, la differenza di reddito in base al genere, che resiste anche nel mondo della ricerca. E le donne faticano anche ad emergere in ruoli di leadership: con piccole oscillazioni, le posizioni apicali occupate da studiose si attestano al 20%.
A questo punto vale la pena fare una considerazione: le statistiche relative al tasso di occupazione che quelle inerenti alla retribuzione risultano ancora più sfavorevoli per le ragazze poiché le donne, all’interno degli stessi corsi STEM, prediligono quelli che di per sé fanno registrare dei tassi di occupazione e retribuzioni più basse rispetto, ad esempio, ad Ingegneria. Le donne tendono ancora a costruirsi così, pur eccellendo, un bagaglio di competenze ed esperienze che danno il via a percorsi di carriera solitamente meno remunerativi, o che comunque danno una minore spinta verso i posti di comando.
L’origine? Il confidence gap
Cosa c’è all’origine dello scollamento tra il successo scolastico delle ragazze e la loro mancanza di posizioni di leadership sul posto di lavoro?
Secondo i dati diffusi da Save The Children, tra gli studenti con alto rendimento nelle materie scientifiche, solo 1 ragazza su 8 si aspetta di lavorare come ingegnere o in professioni scientifiche, a fronte di 1 su 4 tra i maschi. E da adulte le donne sono meno sicure delle loro capacità tecniche nonostante abbiano conseguito una laurea scientifica e inseguono lavori meno competitivi e meno pagati rispetto agli uomini che hanno conseguito di recente gli stessi titoli. La fase iniziale della carriera è un momento particolarmente potente per le convinzioni personali di genere che vengono alla ribalta, ossia la propria autoefficacia, un concetto psicologico definito come un giudizio sulla propria capacità di eseguire un corso di azioni necessario per raggiungere un obiettivo.
Un ruolo importante nel divario di genere lo gioca l’autostima che le donne costruiscono negli anni di scuola. Oggi la scuola è spesso una fabbrica di fiducia e autostima per i figli maschi ma una fucina di “competenze” per le figlie femmine: insegniamo invece alle ragazze le abilità necessarie per avere successo al di fuori della classe, tra cui la resistenza, la fiducia in se stesse e il networking.
Come agire?
Colmare il divario fra uomini e donne nelle professioni tecnico-scientifiche “contribuirebbe a una crescita del PIL europeo pro-capite del 2,2-3% nei prossimi 30 anni” scrive la Presidente di Valore D Paola Mascaro sull’ultimo numero di Harvard Business Review. “Per riuscire a colmare il gap di genere nell’ambito delle professioni STEM, le aziende e le istituzioni devono mettere in campo uno sforzo di reskilling e upskilling tecnologico delle donne, con corsi di formazione, percorsi di inserimento specifici e contribuiti economici per incentivare i percorsi di studio e professionalizzazione in ambito tecnico scientifico. È necessario poi un grande sforzo di comunicazione”.
Potrebbe interessarti anche l’articolo: “Effetto Matilda:Perché dobbiamo colmare il gap di genere nel settore tecnico-scientifico”
Valore D interviene sulle giovani generazioni con il progetto InspirinGirls
Proprio su questo snodo opera Valore D con il progetto InspirinGirls, realizzato in Italia in partnership con ENI, Intesa Sanpaolo e Snam. Un progetto internazionale (coinvolge oltre 20 Paesi) che porta nelle scuole medie storie di donne raccontate dalle protagoniste per incoraggiare le ragazze a seguire le proprie aspirazioni professionali, libere da condizionamenti e stereotipi di genere, per realizzare il loro potenziale. Ogni incontro con una role model contribuisce al cambiamento culturale aiutando le bambine e le ragazze a sviluppare tutti i talenti e competenze indispensabili per costruirsi il futuro che sognano.
Il progetto InspirinGirls dal 2017 e ad oggi le role model hanno incontrato oltre 30.000 studenti e studentesse in tutto il Paese.
Per saperne di più visita il sito di InspirinGirls