Come cambia il lavoro dopo i 50 anni? Come possono le aziende continuare a motivare e valorizzare le persone che restano in azienda dopo quest’età? Su Corriere Buone Notizie di questa settimana Giovanna Maria Fagnani mette in rilievo le risposte a queste domande che la ricerca di Valore D “Talenti senza età” è riuscita a dare: i lavoratori over 50 vengono messi da parte, nonostante esperienze, capacità, risultati portati. Ma urge un cambio di rotta, perché in un Paese che invecchia sempre di più i cinquantenni sono destinati a restare in azienda per molti anni ancora.
Già adesso, stando all’Istat, sono il doppio del numero degli occupati fra i 25 e i 34 anni: i giovani impiegati in Italia sono 4 milioni, i 50-70enni nel 2018 hanno raggiunto gli 8 milioni 546mila, ben 333mila in più rispetto al 2017. Ad analizzare il fenomeno è la seconda edizione del dossier «Talenti senza età, donne e uomini over 50 e il lavoro», realizzato da Valore D con il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica di Milano.
«Sappiamo ben poco dell’impegno, della motivazione e della performance di questi lavoratori, anzi molto spesso – spiega Claudia Manzi, responsabile scientifico del progetto – il talento dopo i 50 anni rimane invisibile, seppellito da tanti stereotipi sull’invecchiamento. Un’accurata comprensione della realtà di vita e di lavoro che caratterizza questa generazione è indispensabile per intervenire più efficacemente».
I risultati della ricerca
Il dossier prende in esame 12.746 dipendenti fra i 50 e i 70 anni di 36 imprese in tutta Italia, che lavorano in media da 26 anni nella stessa azienda. Lo spaccato rivela immediatamente il «soffitto di cristallo»: la disparità di genere nell’occupazione dei ruoli apicali. Ma il quadro diventa ancor più interessante quando si addentra nella dimensione privata e nella percezione della situazione lavorativa. È evidente il fenomeno della «generazione sandwich»: quasi l’80 per cento dei dipendenti è genitore e il 30 per cento si prende cura di almeno una persona anziana non autosufficiente. I cinquantenni sono quindi «schiacciati» tra figli non ancora indipendenti, nipoti e genitori che necessitano di assistenza sempre più a lungo. In questo quadro più del 60% denuncia problemi di conciliazione famiglia-lavoro. E le donne sono sotto doppio attacco: il 40% vive discriminazioni di genere e di età. Ma l’età di mezzo è impegnativa anche emotivamente: uno su tre ha affrontato negli ultimi anni malattie proprie o dei famigliari, lutti o separazioni dal partner. Solo il 14% ha ricevuto un aiuto – per lo più un congedo o orari flessibili – dall’impresa per cui lavora. Nonostante i problemi, i cinquantenni non tralasciano il proprio impiego: la metà denuncia di trovarsi «in difficoltà», ma il 40% dichiara di «avere la testa solo sul lavoro». Solo il 26% si dice «con la testa altrove». Sono i lavoratori «smarriti», che si percepiscono accantonati dall’azienda e svalutati dai superiori.
Il cross mentoring
Come possono le aziende conservare i talenti nel tempo? «Diventa fondamentale l’age management », evidenzia Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D. E il dossier dà alcune indicazioni, come ad esempio promuovere la massima autonomia gestionale nel lavoro, creare scambio di know-how fra generazioni differenti, combattere gli stereotipi sull’invecchiamento, sostenere il dipendente nei momenti di transizione: «L’umanizzazione del management è un passaggio cruciale». Alla presentazione sono emerse alcune esperienze interessanti già in corso. «Tra queste quella del gruppo Zurich, dove c’è un programma di cross mentoring – spiega Paola Castello, ricercatrice di Valore D – in cui colleghi di età diverse si aiutano scambiandosi competenze in vari campi».