Donne, lavoro e sfide demografiche

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Oggi il mondo dell’impresa – trainato soprattutto dalle grandi aziende ma rappresentato da un numero elevato di PMI– può rivestire un ruolo di primo piano nel promuovere un cambiamento nel Paese e sostenere attivamente la genitorialità: lo evidenzia lo studio “Donne, Lavoro e Sfide Demografiche. Modelli e strategie a sostegno dell’occupazione femminile e della genitorialità” realizzato da Fondazione Gi Group e Gi Group Holding in collaborazione con Valore D e presentato d’innanzi ad alcuni esponenti istituzionali di spicco il 14 maggio a Milano presso l’Auditorium del Palazzo del Lavoro con i contributi dello scrittore Alessandro D’Avenia e degli esperti Alessandro Rosina e Francesco Seghezzi. 

Lo studio rappresenta un unicum nel suo genere in quanto combina un approccio multidisciplinare e multistakeholder, l’analisi della letteratura internazionale e uno sguardo comparato su sei Paesi europei (Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Spagna e Svezia) nonché l’ascolto della voce delle imprese, sia PMI che aziende multinazionali. 

Condivisione dei carichi di cura e welfare aziendale: le iniziative delle aziende  

In generale, iniziative per promuovere la condivisione dei carichi di cura risultano presenti sia nelle imprese di grandi dimensioni sia nelle PMI, nonostante queste ultime (30, 9% delle PMI vs. 10,9% nelle grandi aziende) vedano ancora nella maternità un valore che crea complessità organizzative.  

Due grandi aziende su tre (60,3%), ad esempio, sono impegnate in attività di informazione sull’esistenza del congedo di paternità obbligatorio, rispetto al 46,7% delle PMI. A sorpresa, tuttavia, sono proprie le PMI che si sono maggiormente impegnate a estendere la durata del congedo di paternità (29,8%) rispetto a quelle di grandi dimensioni (26,0%).  Per quanto riguarda il welfare aziendale, la prima misura messa a disposizione da PMI e grandi aziende è l’assistenza sanitaria integrativa con copertura anche per i figli, che vede impegnato rispettivamente il 37,1% e il 46,6%. Di rilievo, il fatto che il 31,1% delle PMI e il 32,9% delle grandi aziende intenda implementare nidi aziendali o convenzioni con asili nido sul territorio. 

Maternità, lavoro e stereotipi 

Passando ad analizzare il contesto del nostro Paese, lo studio evidenzia come in Italia persistono diversi stereotipi culturali sulla maternità ancora fortemente radicati. Secondo i risultati della World Values Survey (WVS), un’ampia indagine condotta ogni 5 anni su 100 nazioni, il nostro è l’unico Paese in cui più della metà dei rispondenti (54,1%) si dice d’accordo con l’affermazione che una madre che lavora “danneggia” i figli in età prescolare (contro una media UE del 30%). Non solo: siamo anche il Paese con la più alta percentuale di accordo con l’affermazione per cui se c’è poco lavoro è giusto vada data priorità agli uomini (25,4%, rispetto a una media UE dell’11,4%). I modelli culturali più virtuosi si riscontrano invece nei Paesi Bassi e in Svezia, dove il disaccordo con queste visioni è sempre nell’ordine degli 80-90 punti percentuali.    

I bambini in età prescolare soffrono se la madre lavora, accordo o disaccordo, totale (%) – 2017-2022 

Fonte: nostra rielaborazione dai dati EIGE (2023)

Stereotipi come questi si riflettono nell’assetto dei nuclei famigliari e nel conseguente sbilanciamento dei carichi di cura sulle donne e madri: non a caso l’Italia è l’ultimo Paese per numero di coppie con figli 0-14 anni dove lavorano entrambi i partner (51,1%). All’estero questo avviene nel 63,2% dei casi in Spagna, nel 69% in Germania, nel 69,2% in Francia, nel 78% in Olanda e nel 78,9% in Svezia. Infatti, siamo il Paese con la percentuale più alta di coppie in cui è solo un genitore a lavorare (35,8%). Distanti gli altri rispetto a questo dato: Spagna (27,9%), Germania (21,4%), Francia (22,1%), per non parlare di Olanda (14,5%) e Svezia (12,8%) che di nuovo spiccano per una cultura più all’avanguardia. 

Donne: un vero e proprio ammortizzatore sociale 

In questo quadro, non stupisce che l’Italia presenti il più alto tasso di inattività femminile in Europa (31%, rispetto a una media UE del 18,2%) e la più ampia quota di donne che lavora in part-time involontario: il 51,7%, oltre 30 punti percentuali sopra la media europea del 19,6%. A sottolineare gli “effetti” della genitorialità sulle carriere femminili sono anche i dati relativi alle dimissioni: su 71.727 richieste avanzate nel 2022, ben il 75,4% è stato presentato dalle lavoratrici e solo il 24,6% da uomini. E mentre per questi ultimi la ragione prevalente è stato il passaggio ad altra azienda. (78,9%), per le donne il motivo numero uno è risultata la difficoltà di conciliazione a causa della mancanza di servizi per la cura dei figli (41,7%). 

L’inverno demografico italiano 

La difficoltà per le donne di conciliare lavoro e genitorialità è connessa al calo demografico in corso nei Paesi dell’Unione Europea. Se tra il 2009 e il 2021 il numero di nascite in EU è passato da una media di oltre 4,6 milioni a poco più di 4 milioni l’anno (-11,5%), è ancora una volta in Italia che il fenomeno assume le proporzioni più drastiche, con una discesa del 30%. Peggio di noi la Spagna con un -32%. Al tempo stesso, cresce l’età delle madri al primo figlio, salita da una media UE di 28,8 anni nel 2009 a 29,7 anni nel 2021, con l’Italia a 31,7 anni.  

Le eccezioni tuttavia ci sono, guidate in primis dalla Germania, dove, anche grazie a un’attenta gestione dei flussi migratori, i nuovi nati sono cresciuti del 20% su base annua tra il 2011 e il 2021. 

Ripartire si può: soluzioni per l’Italia 

Nonostante la situazione critica per le donne e le madri in Italia – e quindi per tutta la società – lo studio individua alcune soluzioni che permetterebbero di sostenere l’occupazione femminile e la genitorialità. Tra queste, la valorizzazione dei giovani e della loro autonomia economica, il potenziamento di misure per la conciliazione dei tempi di vita-lavoro, l’adozione di politiche di incentivazione al welfare più efficaci e di azioni sul piano legislativo, a cui affiancare la promozione di un cambiamento culturale che contrasti gli stereotipi di genere riguardanti i lavori di cura.  

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