Smart working: l’Italia è pronta?

Prima dell’emergenza Coronavirus a lavorare da casa in Italia erano in 570 mila, il 2% dei dipendenti. Per il contenimento dei contagi, altri  554.754 lavoratori hanno iniziato a lavorare da casa, secondo il Ministero del Lavoro. E i numeri crescono di giorno in giorno, tant’è che i maggiori operatori telefonici segnalano che il traffico dati sulle linee fisse è aumentato in media del 20% con picchi del 50%.

È il più grande esperimento di lavoro a distanza mai attuato nel nostro Paese, ma quali sono gli ostacoli? Il Corriere della Sera li presenta in maniera chiara ed efficace con il Dataroom di Milena Gabanelli e Rita Querzè, i cui dati principali trovate riassunti di seguito.

 

Innazitutto, chiamiamolo con il giusto nome: la nostra normativa prevede e regolamenta due possibilità, lo smart working, detto anche «lavoro agile», oppure il telelavoro. Nel primo caso scegli i giorni in cui non vai in ufficio, lavori da dove vuoi, e devi produrre un certo risultato in un dato tempo. Il telelavoro è più rigido, alla fine viene utilizzato solo nei casi di disabilità o lontananza del luogo di lavoro. Quello che stiamo portando avanti in questi giorni si configura più come un «lavoro da casa».

 

 

Questo massiccio test di lavoro da casa fa i conti in primis con l’arretratezza tecnologica e dell’infrastruttura: in molte parti del Paese la connessione non tiene o non c’è. In Italia la banda larga ultraveloce raggiunge il 24% della popolazione, contro la media UE del 60%. In pratica più di 11 milioni di residenti in zone montane, campagne, periferie, ma anche singoli quartieri di grandi città restano scoperti. Anche dove c’è una buona connessione, l’operatività è spesso ostacolata dall’arretratezza tecnologica di molte aziende e da una mentalità poco aperta all’innovazione.

 

Come si muovono le grandi imprese

Chi regge meglio sono le grandi imprese, che avevano iniziato da tempo ad organizzarsi con opportuni piani di smart working, come le società delle telecomunicazioni, grandi banche, assicurazioni, utility, e anche le fabbriche più avanzate, perché le macchine possono essere programmate a distanza. Ad esempio, Eni aveva già 4.500 dipendenti in modalità smart, in emergenza se ne sono aggiunti altri 11.000. Segue la Regione Emilia Romagna e Liguria, la multiutility Iren, CNH Industrial e tante altre che nel giro di pochi giorni, e senza troppe difficoltà, hanno potuto continuare l’attività con il lavoro agile.

 

Perché adottare questa modalità di lavoro? I vantaggi dello smartworking

Ci guadagna l’ambiente perché meno traffico vuol dire meno inquinamento. Ci guadagnano le aziende:  riducono gli spazi, pagano affitti più bassi e bollette della luce più leggere, e hanno una produttività del lavoro più alta. Uno studio della Bocconi appena pubblicato ha messo a confronto due gruppi di lavoratori uguali. Ne è risultato che i lavoratori in smart working, su 9 mesi di sperimentazione, hanno fatto 6 giorni in meno di assenze, il rispetto delle scadenze è aumentato del 4,5% e l’efficenza del 5%.

 

 

Per i dipendenti ci sono i vantaggi che derivano dalla libertà di organizzarsi: posso staccare per andare a prendere i figli a scuola, si libera il tempo per andare e tornare dall’ufficio (dai 30 minuti alle 2 ore ogni giorno). Secondo un’indagine del Politecnico di Milano, il 76% degli smartworker è soddisfatto del proprio lavoro, contro il 55% degli altri dipendenti.

E per trovare un buon equilibrio con la vita privata, soprattutto per le donne su cui ancora grava il maggiore carico di lavoro familiare? Una legge che stabilisce alcuni principi di base, come il diritto alla parità retributiva e alla disconnessione, esiste dal 2017. Quello che stiamo facendo oggi è un telelavoro in emergenza, e non è un’opzione ma un obbligo, e serve per tenere in piedi il Paese. Quando finirà la situazione emergenziale e sarà ripristinata la normalità, sarà necessario negoziare questa modalità a livello individuale, aziendale e nei contratti collettivi.

 

Per leggere l’articolo completo sul Corriere della Sera “Coronavirus, smartworking obbligatorio per tutti ma ad 11 milioni di italiani manca la connessione”

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