Sembra che le donne italiane siano ancora costrette a scegliere a un bivio tra lavoro e maternità. In occasione della festa della mamma indaghiamo il rapporto non sempre facile tra maternità e occupazione in Italia. Nel nostro Paese meno di 1 donna su 2 lavora, e la scelta di avere dei figli rappresenta ancora un ostacolo alla piena occupazione delle donne: la maternità resta il principale alla piena realizzazione professionale delle donne e che ancora oggi può lasciare un segno nel percorso di crescita professionale femminile. In effetti, la nascita di un figlio è tuttora uno dei principali fattori che contribuiscono alla presenza di divari occupazionali e retributivi di genere.
Madre o lavoratrice?
Nel nostro Paese il tasso di occupazione femminile crolla drasticamente per le madri: per le donne con 1 figlio il tasso di occupazione è del 56,3%, mentre con 3 e più figli scende addirittura al 44,2%. Al contrario la tendenza maschile: gli uomini che lavorano e che hanno 1 figlio sono l’80,9%, e l’82,9% sono coloro che lavorano con 3 o più figli (dati Istat 2020). Non è un caso, quindi, se, come sottolinea il Policy Brief “Promuovere l’empowerment economico femminile attraverso i congedi di paternità e i congedi parentali per i padri di WeWorld e Ipsos, l’11% delle madri non ha mai lavorato, e se, alla nascita dei figli, la quota di donne che abbandonano il lavoro è pari all’11% nel caso di un figlio solo, al 17% con due figli, al 19% con tre o più. Inoltre, a causa della pandemia, molte donne sono state costrette a farsi carico della cura di figli e anziani, rinunciando al lavoro o alla ricerca di impiego: secondo il report di WeWorld 1 donna su 2 è stata costretta ad abbandonare piani e progetti per il futuro, contro 2 uomini su 5. E ancora: sono il 38,3% le donne occupate che, dopo la nascita dei figli, hanno apportato almeno una modifica all’orario di lavoro, contro l’11,9% dei padri occupati (Istat, 2020).
Dopo la nascita di un figlio, le madri perdono il 53% dello stipendio nel lungo periodo
Il contraccolpo che le carriere femminili subiscono in seguito alla nascita di un figlio, se confrontate con i padri, o con donne senza figli che ne condividono le caratteristiche ad esempio in termini di età, competenze e salari in Italia è particolarmente pronunciato. Ma anche nei paesi scandinavi, che di solito primeggiano nelle classifiche internazionali sulla parità di genere, le madri pagano una penalità di lungo periodo superiore al 20% in termini di minori redditi da lavoro rispetto ai padri in seguito alla nascita di un figlio. Tale effetto, conosciuto come child penalty, si traduce in cifre allarmanti: la perdita di lungo periodo nei salari annuali delle madri determinata dalla nascita di un figlio è del 53% di cui il 6% è dovuta alla riduzione del salario settimanale, l’11,5% dovuto al part-time e il 35,1% dovuto al minor numero di settimane retribuite (INPS, 2020). Il crollo è molto forte nell’immediatezza della nascita, ma il divario che si è creato non si chiude nel tempo.
Perché? Il 20% delle diminuzioni è spiegato dal passaggio al part-time, mentre il 12% è riconducibile a minori salari settimanali. Tutto ciò senza considerare anche l’uscita delle madri dal mercato del lavoro: la misura complessiva dell’impatto della maternità sulla carriera femminile dovrebbe anche prendere in considerazione che le donne con figli hanno dei tassi di uscita dal mercato del lavoro di 12 punti percentuali superiori alle non mamme dopo 15 anni. Gli effetti della maternità sono pertanto evidenti e si manifestano non solo nel breve periodo: la maternità costituisce uno “shock” da cui le donne fatica a riprendersi.
Uno snodo che rivela i diversi ostacoli della carriera femminile
Questi numeri si potrebbero leggere come la prova che il mercato del lavoro non è a misura di donne con figli o come evidenza del cambio delle esigenze nell’equilibrate lavoro e famiglia dopo la nascita di un figlio per le madri (e assai meno per i padri). In effetti, la “penalità” sul mercato del lavoro legata alla nascita di un figlio coglie più aspetti, inclusi gli stereotipi e le norme sociali che vogliono le mamme come principali o esclusive responsabili della cura dei figli.
Prospettive future
Il Recovery Plan è un’occasione da non perdere per ridurre le diseguaglianze che la crisi Covid ha aggravato. È importante favorire tutte le misure che migliorano la conciliazione dei tempi di vita e lavoro accompagnando il cambiamento culturale verso una più equilibrata condivisione dei compiti di cura e accudimento, in una visione in cui la genitorialità sia equamente partecipata ed esercitata. Inoltre, la child penalty è maggiore dove sono meno diffusi gli asili nido, e dove gli stereotipi di genere sono più forti. Per agire su questo punto, il Recovery Plan prevede di stanziare 4,6 miliardi dedicati a costruire nuovi asili nido, scuole materne e servizi di educazione e cura per la prima infanzia oltre a un miliardo diretto a finanziare l’estensione del tempo pieno nelle scuole primarie. Le strutture per la prima infanzia sono un investimento che genera maggiore partecipazione al lavoro dei genitori (donne e uomini); maggiore natalità; maggiore capacità futura di bambine e bambini di apprendere e, in alcuni anni, di guidare l’innovazione e di partecipare alla crescita del Paese e, in ultimo, maggiori posti di lavoro.