Quando lo svantaggio per le donne arriva dal governo

La Repubblica pubblica oggi un articolo della sociologa e scrittrice Chiara Saraceno intitolato, provocatoriamente, “Maschilismo di governo”.

Maschile nella composizione e maschilista nei programmi, così descrive la sociologa il volto del governo di Salvini e Di Maio. Per vari motivi. Primo fra tutti, “di tutta la spesa in deficit programmata, poco o nulla è destinato alle donne e alla riduzione delle disuguaglianze tra uomini e donne. Al contrario, c’è il forte rischio che si riduca quel poco che andava in questa direzione. Ad esempio, non viene rifinanziato il pur ridottissimo (due giorni!) congedo di paternità che, mentre riconosceva ai padri un diritto minimo a stare accanto alla madre al momento della nascita di un figlio e ad avere un tempo tutto dedicato ad accudire quest’ultimo, promuoveva un’idea di genitorialità non basata su una divisione rigida del lavoro e delle competenze”, scrive Saraceno.

Un altro esempio: anche la famosa Quota 100 inserita nella manovra non va a favore delle donne. La riforma prevede la possibilità di andare in pensione a 62 anni con almeno 38 anni di contributi alle spalle, ma è una possibilità che premia gli uomini 9 casi su 10 e comunque chi ha un trattamento pensionistico superiore alla media. Le donne, invece, hanno perlopiù pensioni inferiori del 37% rispetto ai colleghi maschi a causa del percorso di carriera a ostacoli e del cumulo di svantaggi lavorativi collezionati prima e dopo essere diventate mamme.

Come ci ricorda Linda Laura Sabbadini su La Stampa, “abbiamo già perso un’occasione storica per investire una cifra cospicua nel welfare della cura. Cerchiamo di non indurre ulteriori elementi di svantaggio per le donne”.

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