Oltre le barriere della comunicazione. Superare gli ostacoli invisibili

*questo contenuto è stato scritto per Valore D da Ludovica Billi, grafica, content creator e social advocate per i diritti delle persone con disabilità. 

Quando si pensa alle barriere della comunicazione, la mente va subito agli ostacoli fisici: edifici con accesso pubblico ma con scale senza rampe, porte troppo strette, sedie universitarie troppo piccole, marciapiedi senza scivoli.

Questi sono limiti concreti, facilmente individuabili – e sicuramente molto importanti da tenere in considerazione – ma non sono gli unici. Esistono altre barriere, magari meno evidenti, che hanno un impatto altrettanto significativo sulla vita delle persone: sono le barriere invisibili. Ostacoli culturali, tecnologici e sociali che limitano la partecipazione piena e inclusiva di molti individui nella società.

Professori che spiegano agli alunni le operazioni di matematica scrivendo alla lavagna e dando le spalle agli alunni.

Riunioni in ufficio in cui tutti si parlano l’uno sull’altro per condividere le proprie idee.

Cinema con impianti acustici da favola – ma senza sottotitoli.

Per una persona sorda queste barriere non sono solo un concetto astratto: sono una realtà quotidiana. Se da un lato è vero che dietro a molte barriere comunicative non c’è malizia o cattiveria (ma solo ignoranza in materia) rimane comunque importante spiegare a chi non vive questa esperienza quanto possano essere frustranti e invalidanti questi limiti.

Barriere culturali: preconcetti e stereotipi

Uno dei primi ostacoli invisibili è rappresentato dai pregiudizi.

Molte persone, anche senza volerlo, associano la sordità (o altre disabilità) a una presunta incapacità della persona. È una percezione radicata, che si manifesta in vari modi: dalla sorpresa nel vedere una persona sorda in una posizione di leadership, fino alla tendenza a semplificare eccessivamente le conversazioni con noi – come se fossimo meno in grado di comprendere o partecipare a una discussione adulta.

Questi stereotipi non sono solo offensivi, ma anche limitanti: creano nella mente delle persone un effetto strano, che in qualche modo ci costringe a dover costantemente dimostrare il nostro valore… come se dovessimo provare a smentire chi ci vede come meno capaci degli altri.

È un lavoro invisibile che spesso ci fa sentire isolati. Essere considerati competenti dovrebbe essere la base, non un traguardo da doversi conquistare ogni giorno con ogni nuova conversazione.

La lingua come simbolo di… esclusione

“Ma non sai leggere le labbra?”.

“Ma non ti basta la lingua parlata?”.

“Vabbè, hai l’impianto cocleare, che altro vuoi?”.

Sono domande che, almeno una volta nella vita, una persona sorda è quasi destinata a incontrare. Ovviamente sono molto semplicistiche: principalmente (anche inconsciamente) esistono per togliere la responsabilità dall’altro – perché se tu non sai leggere le labbra e non ti basta avere l’impianto, allora la colpa se non riesci “a essere sul pezzo” è tua, pretendi troppo.

Un esempio culturale importante è il modo in cui si percepisce la lingua. Ancora oggi, infatti, sono in molti a non la considerare la LIS (Lingua dei Segni Italiana) una “lingua vera”. I corsi per impararla  – quelli ufficiali – sono tanto rari e poco conosciuti da essere quasi proibitivi: così la maggior parte delle persone che la studiano lo fanno perché sono sorde, o perché hanno un familiare sordo (e quindi imparano solo per necessità comunicativa di affiancamento). Questo mina il diritto di accedere a interpreti LIS in contesti essenziali come la sanità, l’istruzione e il lavoro – e diminuisce sensibilmente la probabilità di incontrare qualcuno che conosce la LIS in un Info Point, in un supermercato, per strada.

Tutto questo senza contare anche le differenze tra LIS e regole strutturali: uno dei problemi dell’utilizzare preferibilmente la lingua dei segni è la difficoltà che si può avere nello scrivere – perché la LIS ha una struttura diversa dalla lingua italiana parlata… il che porta, nei casi di persone che l’hanno appresa come unico metodo di comunicazione fin dall’infanzia, a essere considerato come “meno abile” negli ambienti di lavoro o a scuola.

Insomma: la LIS non è una scelta “comoda” e non deve essere un privilegio: è un diritto linguistico. Non riconoscerla significa negare a molte persone sorde l’accesso paritario alle informazioni e alle opportunità.

Barriere tecnologiche e digitali: un divario crescente

Viviamo in un’epoca digitale: la tecnologia dovrebbe essere il grande livellatore, capace di abbattere qualsiasi barriera. L’intelligenza artificiale può aver già creato applicazioni in grado di tradurre istantaneamente da LIS a lingua parlata e viceversa, ogni pagina online potrebbe avere già una scelta per la lettura ad alta voce… eppure, per molte persone con disabilità, è proprio la tecnologia a creare nuovi ostacoli.

Siti web non accessibili, software che non supportano screen reader, video senza sottotitoli o senza trascrizioni: tutto questo rende il mondo digitale una sfida costante.

Capita di non poter partecipare a una call di lavoro perché il software utilizzato non supporta sottotitoli in tempo reale: situazioni come queste non solo limitano l’accesso, ma fanno sentire esclusi e non considerati.

“Scollegati pure, poi ti mandiamo la trascrizione” non è un aiuto, è un’esclusione. L’accessibilità digitale non dovrebbe essere un lusso o un ripensamento – ma un requisito fondamentale.

Il mito della tecnologia come soluzione universale

Ho già sottolineato quindi come la credenza che la tecnologia sia in grado di risolvere automaticamente tutti i problemi di accessibilità sia in realtà sbagliata. Certo, gli strumenti esistono, ma queste soluzioni non sono sempre affidabili.

I sottotitoli generati automaticamente, per esempio, spesso interpretano male le parole – specialmente in ambienti rumorosi o con accenti diversi. I sistemi di sottotitolaggio automatico che molti content creator usano come editing video spesso e volentieri capiscono solo la metà di ciò che la persona dice effettivamente (e mentre molti colleghi stanno attenti a correggere passaggio per passaggio, altri non hanno la stessa accortezza).

C’è una generale mancanza di consapevolezza sull’importanza di progettare tecnologie inclusive fin dall’inizio. Quando si parla di design universale si prende in considerazione anche questo aspetto: adattare qualcosa di già esistente è spesso più costoso e meno efficace che integrare l’accessibilità già dalle prime fasi di progettazione.

Barriere sociali: la solitudine dell’inclusione incompleta

Le barriere invisibili non si fermano alla cultura e alla tecnologia: si estendono alla sfera sociale.

Situazioni come una riunione di lavoro o un incontro informale tra più persone possono essere incredibilmente banali per alcune persone e (allo stesso tempo) molto spiacevoli per altre: la sensazione di esclusione può essere particolarmente acuta in situazioni di gruppo, dove le dinamiche sociali tendono a favorire chi può seguire una conversazione senza difficoltà. Le discussioni rapide e dove i partecipanti parlano uno sull’altro possono essere quasi impossibili da seguire per chi si basa sulla lettura delle labbra o su un interprete LIS.

Questa esclusione non è solo pratica, ma anche emotiva – e non sono solo io a dirlo. Uno studio significativo su questo concetto è stato pubblicato sulla rivista Journal of Deaf Studies and Deaf Education già nel 2005. Lo studio, intitolato “Social and Emotional Difficulties in Deaf Children and Adolescents: The Role of Hearing, Language, and Communication” (Hindley), sottolinea come le difficoltà comunicative non affrontate possano portare a isolamento sociale, stress emotivo e ridotta partecipazione alla vita di gruppo. I ricercatori hanno rilevato che le barriere linguistiche e la mancanza di consapevolezza da parte degli udenti aggravano queste sfide, limitando le opportunità per connessioni autentiche e reciproche.

Sentirsi parte di un gruppo è un bisogno umano fondamentale: quando questo viene negato, le conseguenze possono essere devastanti per il benessere mentale.

Un cambiamento concreto

Affrontare le barriere invisibili richiede molto più che soluzioni tecniche o normative: è più di una storia pubblicata il 3 dicembre (per la Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità) o di uno sticker creato appositamente e poi dimenticato il giorno dopo. Richiede un cambiamento culturale, una trasformazione profonda del modo in cui la società percepisce la diversità. E questo cambiamento deve partire dalla consapevolezza.

Un primo passo essenziale è l’educazione: sensibilizzare le persone sulle esigenze specifiche delle persone con disabilità può ridurre i pregiudizi e aumentare la comprensione. Le scuole, le aziende e le istituzioni pubbliche dovrebbero integrare programmi di formazione sull’accessibilità e sull’inclusione.

Un altro elemento cruciale è il coinvolgimento diretto delle persone con disabilità nei processi decisionali. Troppo spesso, le soluzioni per l’accessibilità vengono progettate senza consultare chi poi effettivamente ne usufruirà. Nulla su di noi senza di noi: uno slogan attivo dal 1990 che ancora oggi riassume perfettamente l’importanza di includere le persone con disabilità in ogni fase, dalla progettazione alla valutazione.

Le barriere invisibili non spariranno da sole – richiedono uno sforzo collettivo, una volontà condivisa di costruire una società in cui tutti abbiano le stesse opportunità. È un cammino lungo, ma necessario.

Continuare a parlarne sui social non è pedanteria o desiderio di essere al centro dell’attenzione: è l’unica strategia che rimane per farsi ascoltare. Content creator con una grande piattaforma dovrebbero continuare a sfruttarla per amplificare il messaggio.

Perché le barriere invisibili sono come le crepe interne in un muro: possono essere riparate, ma solo se solo si decide di vederle.

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