NEET: destrutturare la categoria per contrastare le diseguaglianze

Nel 2020 la popolazione NEET in Italia – composta da giovani tra i 15 e i 34 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in un percorso di formazione – ha superato complessivamente i 3 milioni: di questi 1,7 milioni sono donne. Il fenomeno è caratterizzato da diseguaglianze territoriali, di genere e di cittadinanza, tipiche del tessuto socio-economico italiano eppure spesso trascurate: destrutturare la categoria NEET, a partire dalle variabili al suo interno, può servire a progettare politiche pubbliche più efficaci e mirate.

 

La popolazione NEET in Italia

 

Secondo il recente rapporto di ActionAid NEET tra diseguaglianze e divari. Alla ricerca di nuove politiche pubbliche per i giovani”, la presenza di NEET in Italia ha subito un rialzo nel 2020, registrando un tasso pari al 25,1%: in base alle stime, dunque, un giovane su quattro non lavora, non studia e non è inserito in percorsi di formazione. Tra le cause del rialzo viene indicata anche la crisi pandemica, che ha inciso notevolmente sulla relazione tra giovani e mercato del lavoro, nonché sulla partecipazione di questi ultimi al sistema dell’istruzione e della formazione.

In Europa, l’Italia è tra i paesi con il maggior tasso di NEET, preceduto solo da Turchia (33,6%), Montenegro (28.6%) e Macedonia (27.6%). Sebbene le percentuali più elevate si registrino nelle aree del Sud Italia (dove la media è del 39% rispetto al 23% del Centro Italia, al 20% del Nord-Ovest e al 18% del Nord-Est), l’incidenza NEET sulla popolazione giovanile risulta superiore alla media europea (15%) in tutte le regioni italiane: un esempio è rappresentato dalle percentuali di NEET nel Lazio (25,1%), in Liguria (21,1%), in Piemonte (20,5%) e in Valle d’Aosta (19,6%).

 

Grafico sulla distribuzione delle e dei NEET per area geografica*Rapporto ActionAid “NEET. Tra diseguaglianze e divari. Alla ricerca di nuove politiche pubbliche per i giovani”

 

Diseguaglianze di genere

 

Anche all’interno del fenomeno NEET si registrano disparità di genere: le donne rappresentano infatti il 56%, mentre gli uomini il 44%. Le prime dimostrano, inoltre, una maggiore difficoltà a fuoriuscire dalla condizione di NEET: significativo, infatti, è che dal 2007 al 2020 la quota di NEET donne non sia andata incontro a variazioni rilevanti. Nelle regioni italiane, poi, la presenza femminile NEET varia da un minimo del 45% a un massimo del 71%, a fronte di una percentuale maschile del 29%-54%. Anche tra gli stranieri NEET, che rappresentano il 18% del totale, le donne sono la maggioranza (57%).

Guardando ai titoli e alla condizione professionale, la percentuale di NEET laureate supera quella degli uomini (16% contro 10%). Le NEET sono soprattutto giovani inattive che non cercano lavoro e non sono disponibili a svolgerne uno (27%), mentre i NEET inattivi sono giovani maschi che hanno dichiarato di aver fatto un’azione di ricerca del lavoro e di essere immediatamente disponibili a lavorare. Per questo motivo sono ritenuti Forze di lavoro potenziali e ricompresi nella Zona Grigia dell’Inattività (17%).

Il 20% delle NEET sul totale, inoltre, è costituito da madri inattive, mentre soltanto il 3% da madri disoccupate. Questo è indice del peso rappresentato dai carichi di cura che gravano ancora oggi principalmente sulle donne, costringendole a rinunciare al mercato del lavoro.

 

Grafico sull'incidenza delle e dei Neet in base al genere

*Rapporto ActionAid “NEET. Tra diseguaglianze e divari. Alla ricerca di nuove politiche pubbliche per i giovani”

 

Suddivisione in cluster

 

Tenere conto delle diversità all’interno della popolazione NEET è fondamentale per delineare e attuare politiche mirate. Il rischio, infatti, è di sottovalutare i comportamenti e le peculiarità dei giovani e delle giovani, trattando i NEET alla stregua di una categoria unitaria: NEET può essere un giovane che non lavora, non studia e non si forma ma è comunque impegnato nella ricerca di un lavoro, così come un giovane che ha smesso di cercarlo o non lo ha mai cercato. Al tempo stesso, gli effetti della condizione di NEET su una giovane donna con un titolo di studio non elevato, madre e residente nelle regioni del sud Italia sono diversi da quelli su un giovane adulto altamente scolarizzato delle regioni del centro o del nord.

Il rapporto di ActionAid, attraverso un’analisi multivariata, prova a rispondere a questa esigenza, destrutturando la categoria e individuando quattro cluster che sintetizzano la popolazione NEET in Italia:

  • Giovanissimi/e fuori dalla scuola (15 – 19 anni): sono senza precedenti esperienze lavorative e inattive/i. Costituiscono un gruppo residuale, ma significativo e presente in tutta Italia: possiedono solo la licenza media, non percepiscono sussidio e vivono in un nucleo familiare composto da coppia con figli.
  • Giovani alla ricerca di una prima occupazione (20-24 anni): sono residenti principalmente nelle regioni del Mezzogiorno, hanno la cittadinanza italiana e il diploma di maturità̀. Rappresentano il gruppo più numeroso, su cui incide la presenza di un nucleo familiare monogenitoriale, il genere maschile e la residenza in una città metropolitana o grande comune.
  • Ex occupati in cerca di un nuovo lavoro (25-29 anni): sono per la maggior parte maschi residenti al centro Italia, con un elevato livello di istruzione, percettori di un sussidio di disoccupazione e appartenenti a un nucleo familiare single.
  • Scoraggiati/e (30-34 anni): giovani con precedenti esperienze lavorative e ora inattive/i. Risiedono principalmente nelle regioni del Nord Italia e in aree non metropolitane. Su di essi/e incide il genere femminile e il nucleo familiare composto da una coppia senza figli.

 

Nuovi interventi e cambi di narrativa

 

Un’analisi appropriata del fenomeno NEET impone dunque di allontanare non solo l’idea che si tratti di una categoria omogenea, ma anche la retorica che vede in questi giovani persone refrattarie al sacrificio, che hanno scelto deliberatamente di non lavorare, studiare o formarsi.

Modificare la narrativa sui NEET, intervenendo sulle condizioni di contesto (ad es. i forti ritardi nella transizione tra scuola e lavoro e la mancanza di investimenti soprattutto nel Mezzogiorno) che rendono difficile l’accesso al mercato del lavoro, è un primo passo per ridare loro centralità nel dibattito pubblico.

Il momento è propizio, considerate le risorse attualmente disponibili da investire in politiche destinate ai giovani: PNRR, Fondi strutturali di investimento 2021-2027, Fondi nazionali e regionali dedicati. Occorre puntare all’aumento delle opportunità occupazionali, all’introduzione di maggiori tutele per i periodi di discontinuità lavorativa, alla costruzione di percorsi diretti a innalzare le competenze dei giovani, a misure che favoriscano la loro crescita professionale e personale e che alimentino la loro fiducia nel futuro.

 

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