Dal recente report OCSE “Education at a Glance 2018” emerge più di un dato saliente in merito al sistema scolastico ed accademico del nostro Paese. Eppure, molti di questi dati ci stupiscono poco, come se la scuola italiana si rinnovasse a fatica e ci ripresentasse da anni le stesse crepe e le stesse parole: prime fra tutte “inferiore”, “vecchio”, “basso”.
Innanzitutto, il corpo docenti italiano è il più anziano fra tutti quelli dei membri OCSE: nel 2016, il 58% degli insegnanti dell’istruzione primaria e secondaria aveva già raggiunto o superato i 50 anni. E se l’età è superiore, ad essere inferiore rispetto agli altri 36 Paesi della Convenzione è lo stipendio. I nostri docenti, anzi, vengono pagati sempre meno, tant’è che, fino a due anni fa, le loro retribuzioni corrispondevano al 93% del loro valore rispetto al 2005. Fra le cattedre domina inoltre una maggioranza di donne, ma la loro presenza diminuisce man mano che cresce il livello d’istruzione. E infatti, nel 2016 le donne rappresentavano il 99% dei docenti della scuola pre-primaria, il 63% negli istituti superiori e il 37% all’università.
Inferiore rispetto agli altri è anche la quota di laureati, nonostante questi siano aumentati dal 19% del 2007 al 27% nel 2017, e tuttavia il loro numero rimane tra i più bassi in assoluto. Sempre a proposito di studenti universitari, il rapporto conferma che le numerose e tuttora esistenti differenze di genere nel campo dell’educazione continuano a tradursi in forti differenze lavorative.
Per quanto i ragazzi rischino più spesso di ripetere l’anno, di lasciare la scuola e non accedere all’educazione terziaria, e nonostante, al contrario, le performance scolastiche delle ragazze siano migliori, l’occupazione femminile rimane più bassa e con un salario medio inferiore rispetto agli uomini.
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