Lo smart working aumenta solo nelle grandi aziende, la pubblica amministrazione è ancora indietro

da La Stampa

 

Lo smart working è sempre più diffuso tra le grandi aziende italiane, che sempre più spesso decidono di puntare sull’impiego intelligente. Dopo il decreto Poletti del 2012 e la legge 81 del maggio 2017, che regola e definisce il lavoro agile, gli smart workers sono aumentati del 60% in imprese come Siemens, Nestlé, Intesa San Paolo, Axa, Enel, Ferrovie dello Stato, Ferrero.

Sulla base dei dati forniti dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, il quotidiano La Stampa ha delineato l’identikit del lavoratore agile tipico: più spesso uomo che donna, sulla quarantina, dipendente di grandi imprese del Nord Italia. E la maggior parte dichiara che, grazie anche al ritrovato equilibrio tra lavoro e vita privata, “lavorare un giorno a settimana in agilità migliora la capacità di organizzare il tempo e il rispetto delle scadenze”, con un “miglioramento della propensione al risultato”.

Lo smart working però coinvolge ancora solo il 5% dei lavoratori (circa 305.000) e il 9% delle grandi aziende (meno di una su dieci) sul territorio nazionale. Nonostante i benefici del lavoro agile, tra cui quello di combattere il gender gap occupazionale e aiutare i car giver (perloppiù donne), le piccole e medie imprese e la pubblica amministrazione non hanno ancora attivato misure efficaci di smart working. Secondo la legge Madia del 2015, proprio questi settori avrebbero dovuto rendere agile il 10% dei propri dipendenti nei primi sei mesi del 2018, ma siamo ancora poco sopra lo 0,3%.

 

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