Lavoro e stereotipi: per le donne straniere è doppia penalizzazione

Stipendi bassi, contratti precari, lavoro in nero: per le donne straniere che vivono in Italia trovare e mantenere un’occupazione è ancora complicato. Lavorare significa fare i conti con una “doppia penalizzazione”: quella legata al genere e alla provenienza. Il fenomeno riguarda anche tutte quelle donne con un’esperienza migratoria personale o familiare alle spalle che sono ormai cittadine italiane.

 

L’impatto degli stereotipi sull’esperienza lavorativa delle donne straniere

 

Come segnalato da Emanuela Bonini di ISMU e Chiara Tronchin di Fondazione Leone Moressa in un recente articolo sul Corriere della Sera, a pesare sulla situazione lavorativa delle donne migranti è l’esistenza di stereotipi molti forti. L’idea di fondo, ancora oggi radicata, è che chi lascia il proprio paese sia disposta ad accettare qualsiasi tipo di mansione o, nel caso di alcune nazionalità in particolare, che sia destinata inevitabilmente ai lavori di cura.

La difficoltà principale per le donne straniere è, innanzitutto, ottenere il riconoscimento delle proprie qualifiche: non di rado le stesse sono chiamate a dimostrare di possedere competenze elevate anche quando la posizione non lo richiede; inoltre, in fase di selezione, hanno più probabilità di essere respinte quando, a parità di cv, l’altra concorrente è italiana.

Questi preconcetti, che spesso agiscono senza che chi li mette in atto se ne accorga, riguardano sia le donne appena arrivate in Italia, sia quelle che si sono stabilite qui da tempo.

 

Precarietà, poche tutele e lavori non in linea con le proprie capacità

 

Per le donne straniere, riuscire a mantenere un’occupazione è talvolta ancora più difficile che trovarla. Le ragioni sono principalmente due: la precarietà e le condizioni di lavoro.

Nel 2020, anno di inizio della pandemia, le lavoratrici non italiane sono diminuite in misura più alta sia rispetto agli stranieri uomini (-10 per cento a fronte di -3,5) sia alle donne italiane (-1,6 per cento). Questo è dipeso principalmente dal fatto che i settori del commercio e del turismo, ovvero quelli con un elevato numero di impiegate straniere, hanno subito più di altri le conseguenze delle chiusure dovute al Covid. A ciò va aggiunto che i contratti, spesso temporanei e con poche tutele, tipici dell’occupazione femminile, sono stati i primi a saltare durante la pandemia, ma sono anche divenuti i più diffusi dopo la riapertura.

L’esperienza delle donne straniere è segnata, inoltre, dalla presenza di condizioni di lavoro particolarmente gravose e dall’esistenza di un circolo vizioso guidato dal pregiudizio, che porta chi arriva in Italia ad operare solo in determinati settori. Sono molte, infatti, le donne costrette ad accettare un’attività non in linea con la propria esperienza o con le proprie capacità, perché prive di una valida alternativa che consenta loro di mantenere i figli e, a seconda dei casi, la famiglia rimasta nel Paese di origine.

Questa situazione, oltre a causare un notevole spreco di talento, sta determinando uno spostamento di risorse verso altri Paesi, in cui le possibilità lavorative sono maggiori. Per chi rimane, invece, la soluzione finisce per ricadere sul lavoro nero o su attività prive di ogni tutela.

 

Il ruolo della formazione per interrompere il circolo vizioso

 

Per creare ambienti di lavoro sani e inclusivi, in cui anche le donne straniere o con background migratorio possano trovare adeguata valorizzazione, non esiste una soluzione univoca. Un primo passo, tuttavia, è puntare a una formazione tecnica che aiuti a riconoscere gli stereotipi e il modo in cui questi operano e al tempo stesso a promuovere una selezione del personale priva di pregiudizi.

Servono poi interventi ad hoc come il riconoscimento dei titoli di studio o percorsi di accompagnamento per quelle comunità che, più di altre, incontrano difficoltà per ragioni linguistiche o culturali.

Anche il PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, si candida a rappresentare un importante ausilio, dal momento che i fondi stanziati per l’occupazione femminile potranno avere ricadute positive anche sull’occupazione delle donne straniere.

 

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