Islanda: il governo lancia la legge sul gender pay gap

Quando si parla di uguaglianza di genere, l’Islanda è tra i paesi più all’avanguardia. E lo è da tempo. Nel 2017, è risultata in testa al Global Gender Gap Index del World Economic Forum per il nono anno consecutivo (l’Italia è solo all’82° posto). Secondo i dati della Banca Mondiale e come riportato da Bloomberg, l’isola presenta anche uno dei tassi di occupazione femminile più alti in assoluto.

Le islandesi hanno cominciato a farsi sentire prepotentemente nel 1975, durante lo sciopero del lavoro del 24 ottobre, che ha paralizzato il Paese. Lo stesso giorno del 2016 lo hanno fatto di nuovo: sono uscite dai loro uffici esattamente alle 14:38, il momento della giornata in cui, confrontando i dati dei loro salari con quelli degli uomini, le donne smettono di essere pagate.

Oggi, la premier Katrin Jakobsdóttir, leader della Grande Coalizione Verde, ha deciso di tirarne le somme e trasformare in legge le richieste di quegli scioperi promulgando la legge che promette di azzerare entro il 2020 le differenze salariali tra uomini e donne. Queste differenze sono per il momento pari al 12%: è questa la percentuale in più che gli uomini si ritrovano nello stipendio secondo BSI Iceland, anche quando svolgono lo stesso tipo di mansione.

La legge, peraltro, è la più severa in assoluto al mondo, poiché impone a tutte le aziende e le istituzioni pubbliche e private con più di 25 dipendenti di garantire una pari retribuzione di genere, pena una multa di 50 mila corone islandesi (circa 450 euro) per ogni caso personale di violazione. In Inghilterra, invece, l’obbligo vale solo per le imprese con più di 250 collaboratori.

La legge, comunque, verrà applicata gradualmente: le aziende più grandi hanno tempo fino al 2020 per mettersi in pari, mentre quelle più piccole fino al 2025. Da allora, non ci saranno più scuse di discriminazione che spiegheranno le discrepanze e, come scrive Vanity Fair, «alcune presunte giustificazioni (come pagare qualcuno di più perché parla più lingue, quando questa abilità non viene spesa sul lavoro) non saranno accettate».

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