Terminata l’emergenza Covid-19, che ha portato a una diffusione forzata dello smart-working in Italia, la sfida attuale è individuare quali soluzioni lavorative far sopravvivere alla fine della pandemia. Lavoro in presenza, da remoto o ibrido? La risposta giusta non esiste, ma lascia il posto alla ricerca di un nuovo equilibrio basato su alcuni elementi chiave: flessibilità, fiducia, collaborazione e una cultura aziendale sempre pronta a mettersi in gioco.
Durante la pandemia milioni di persone hanno dovuto fare i conti con un cambio repentino dell’organizzazione lavorativa: come riportato dal Sole 24 Ore, lo smart working – che nel 2019 riguardava solo 570.000 lavoratori (58% grandi imprese; 12% PMI e 16% PA) – nella fase acuta dell’emergenza sanitaria ha interessato circa 6,58 milioni di risorse (97% grandi imprese, 58%PMI e 94% PA) e coinvolto anche professioni fino a poco prima ritenute incompatibili con una modalità di lavoro più flessibile.
Lo smart-working forzato, se da una parte ha messo in luce il ritardo tecnologico di molte organizzazioni, dall’altra si è dimostrato prezioso per incrementare le competenze digitali dei/delle dipendenti, per rivedere i processi aziendali e ripensare l’assetto tradizionale del lavoro in favore di una modalità più agile.
Non è un caso, infatti, che circa sette lavoratori/lavoratrici su dieci (71%) nell’ultimo anno abbiano valutato di cambiare professione e adottato un nuovo ordine di priorità, che ha portato a richieste di condizioni di lavoro più favorevoli e flessibili e a un maggiore interesse per l’etica aziendale. Si stima, al riguardo, che circa il 76% dei lavoratori prenderebbe in considerazione l’idea di cercare un nuovo lavoro se scoprisse che la propria azienda pone in essere discriminazioni retributive basate sul genere o non pratica politiche di diversità e inclusione.
Oggi, la flessibilità acquisita durante il Covid sembra essere diventata una caratteristica irrinunciabile per chi cerca lavoro. La soluzione ibrida, che consente di lavorare sia in presenza che da remoto, è la preferita dalla maggior parte dei lavoratori.
È importante, quindi, che le aziende siano preparate a rispondere a questa crescente richieste di autonomia, senza forzare il rientro in ufficio o escludere totalmente la partecipazione da remoto.
Si è visto, infatti, che quando i rapporti con i dipendenti sono basati sulla fiducia e sulla autonomia organizzativa, il senso di soddisfazione personale e professionale tende ad aumentare, mentre le possibilità di turnover si riducono.
Tuttavia, perché queste nuove forme di lavoro possano affermarsi a pieno è necessario che le persone siano adeguatamente valorizzate e accolte all’interno di una cultura aziendale “dinamica”, cioè basata non sul tradizionale rapporto gerarchico, ma sulla collaborazione, sulla motivazione e sul senso di scopo comune.
In questa direzione, diventa importante puntare non solo a rafforzare la formazione tecnologica delle persone ma anche la capacità di queste ultime di coordinare e gestire i gruppi da remoto; allenare le soft skill e incentivare una visione d’insieme che aiuti lavoratori e lavoratrici a comprendere il proprio contributo all’interno di una organizzazione più complessa.
Il futuro del lavoro, dunque, per essere realmente smart e flessibile ha bisogno di un nuovo insieme di competenze e di una riorganizzazione culturale e professionale che tenga conto delle persone e del loro benessere, che responsabilizzi gli individui e i gruppi, che sappia rispondere alle esigenze di mercato e, non ultimo, soddisfare le aspettative delle nuove generazioni.
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