Più precaria, meno pagata e spesso arruolata in part time involontari. È la fotografia della donna italiana scattata dall’Indagine Bes (benessere equo e sostenibile) delle ricercatrici Istat Tania Cappadozzi e Federica Pintaldi presentata in occasione del seminario di Acli Donne sulle discriminazioni nel mondo del lavoro, che mette in risalto alcuni numeri critici della questione di genere.
Secondo lo studio, innanzitutto, se il divario di genere diminuisce sul luogo di lavoro, è solo perché aumenta la disoccupazione maschile, e non perché le condizioni di quella femminile migliorino.
Nel II trimestre 2018, poi, è risultata occupata solo la metà delle donne tra i 15 e i 64 anni lavora, tasso che scende al 32.2% se ci spostiamo nel Mezzogiorno. Per avere una misura di paragone basti pensare che nel 1977 era al 33.5%. Le cose vanno un po’ meglio al Nord, ma la conciliazione lavoro e famiglia rimane problematica, e infatti le donne tra i 25 e i 49 anni, se sole sono per l’80.4% occupate, ma scendono al 69.6% se in coppia e al 56.4% se madri. Inoltre, al Sud il 51% delle donne ritiene di doversi occupare del lavoro familiare. Il 48.2% al Nord.