Arriva la Generazione Z: diversità e inclusione sono il futuro del lavoro

La Generazione Z sta entrando a far parte del mondo professionale e presto rappresenterà un quarto della forza lavoro globale, portando un grande impatto nelle culture organizzative in cui si inseriscono. Una nuova ricerca condotta da Catalyst  evidenzia che questa generazione si distingue per una cultura del lavoro positiva e inclusiva. Predilige organizzazioni che danno significativamente priorità al divario retributivo tra i generi e che prendono una posizione sulle questioni sociali, come il cambiamento climatico. Le organizzazioni sapranno comprendere la Generazione Z e la sua spinta motivazionale possono aspettarsi di avere più successo nello sfruttare e trattenere i talenti creando ambienti di lavoro multi-generazionali e innovativi.

 

La Generazione Z ha diversità e inclusione nel DNA

Nata dopo il 1996, la Generazione Z è la coorte generazionale che segue Millennials, composta da nativi digitali chenon hanno mai vissuto in un mondo senza internet, hanno però assistito all’aumento del divario di ricchezza che contribuisce a una maggiore disuguaglianza di reddito. Hanno inoltre sperimentato un forte aumento dei tassi di istruzione superiore, infatti i loro tassi di iscrizione all’università hanno superato quelli delle generazioni precedenti. Così la generazione Z  che si appresta ad inserirsi nel mondo professionale ha meno esperienza lavorativa ma più istruzione rispetto alle generazioni precedenti.
 
La ricerca condotta negli Stati Uniti da Catalyst sottolinea che è anche la generazione più eterogenea dal punto di vista etnico. La maggioranza della Gen Z negli Stati Uniti (62%) afferma che una maggiore diversità è un bene per la società e indica come valori la tolleranza, l’inclusività, l’apertura, il rispetto, l’individualità e i diversi modi di pensare. Per questo la Generazione Z si aspetta che le organizzazioni abbraccino la diversità e l’inclusione.

Gli intervistati sono stati più propensi a rimanere fedeli alle organizzazioni che percepiscono come dotate di una forza lavoro diversificata e inclusiva.

 

La dimensione valoriale: ricerca di un impatto positivo nel lavoro

L’indagine di Catalyst conferma che per la maggior parte degli intervistati è importante lavorare per un’azienda che permetta  di fare la differenza e in linea con i loro valori sociali. Tuttavia, un recente studio Deloitte dimostra che Gen Z ritiene che le aziende non stiano producendo il grado di impatto sociale che si aspettano.

I 2/3 degli intervistati ha valutato le pari opportunità di retribuzione, di promozione e di avanzamento di carriera come i due principali fattori che costruiscono la fiducia con il proprio datore di lavoro. Anche l’inclusione e il comportamento etico sono risultati importanti. Per le donne, un manager inclusivo era più importante che per gli uomini, ma la maggior parte delle donne e degli uomini negli Stati Uniti (83%) ha citato il comportamento etico del proprio manager come un fattore “molto importante” per costruire la fiducia.

 

La Generazione Z dà la priorità all’inclusione e alla dimensione valoriale del lavoro

 

E in Italia?

Di recente Umana SpA ha dato vita a un’indagine nazionale che fotografa i giovani e fornisce a chi si occupa di recruitment gli strumenti per capire meglio i loro talenti, grazie alla collaborazione scientifica di Valore D,  alla partecipazione di 41 aziende associate e dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo.

Dalla ricerca “Generazione Z. Un nuovo approccio al lavoro” è emerso che i giovani sono attenti al welfare, agli orari di lavoro, alla sostenibilità. Alla domanda “Il lavoro è per te…“, la percentuale più elevata di risposta dei ragazzi è “uno strumento per procurare reddito”, ma cresce molto anche la voce “luogo di impegno personale” che si posiziona poco sotto la precedente. Arriva a superare il 90% anche la voce “una modalità di autorealizzazione”.

La preoccupazione principale è un buono stipendio (94,2%), che porta con sé anche la possibilità di affrontare il futuro (91,3%). In mezzo c’è però la consapevolezza della necessità di mettere l’impegno personale (93,1%), che risulta anche un modo per sentire il lavoro come qualcosa di proprio, che coinvolge e stimola a fare e migliorarsi in prima persona.

 

 

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