Gender gap nell’industria musicale: un miraggio le posizioni manageriali

È sentimento comune che le donne siano largamente presenti nell’industria musicale, perché spesso le troviamo agli apici delle classifiche. Ma quando si analizzano i dati, la realtà è che al genere femminile non spetta ricoprire posizioni diverse da questa: le donne non sono autrici, compositrici o producer e, men che meno, ricoprono posizioni che potremmo definire decisionali.

Le donne nel mondo della musica: lontane da posizioni manageriali

Come riporta il terzo report annuale “Inclusion in the Recording Studio?” realizzato dall’Annenberg Inclusion Initiative dell’University of Southern California, un importante think tank su diversity & inclusion, gli uomini continuano a superare di gran lunga le donne nell’industria musicale. Lo studio, finanziato da Spotify e riportato da Billboard Italia, prende in considerazione il genere e la razza degli artisti e dei creatori di contenuti (songrwriter e produttori) attraverso 800 canzoni nella Billboard Hot 100 Year-End Charts dal 2012 al 2019 e le nomination ai Grammy.

E arriva a una conclusione piuttosto netta: se anche le donne sono sempre più incluse nell’industria musicale, c’è ancora molta strada da fare prima di raggiungere una reale parità di genere.

 

Dati della rappresentanza femminile nell’industria musicale secondo l’indagine “Inclusion in the Recording Studio?”

Ad esempio, nel 2019 il 22,5% delle canzoni di maggiore successo erano di artiste donne. Un trend in significativo miglioramento rispetto al 2018 e ben al di sopra del 16,8% del 2017. Nonostante questo dato positivo, significa sempre che le donne siano poco più di una su cinque. Inoltre, sempre nel 2019, oltre la metà delle artiste nelle classifiche popolari erano donne di colore. Il che è confortante rispetto a un’altra discriminazione.

Discorso molto simile le donne cantautrici, in lieve crescita dall’11,6% al 14,4%. Molto negativa invece la percentuale di donne che lavorano come produttrici in un campione della classifica Billboard. Si arriva al 2,6%, con un rapporto di 37 uomini a una donna.

Percentuale di interpreti femminili secondo l’indagine “Inclusion in the Recording Studio?”

E in Italia?

Sono molte le prospettive da cui possiamo quanto sia consistente il gender gap nella musica che abbiamo nelle orecchie tutti i giorni. Le artiste che emergono sono poche e ancora più difficilmente vengono premiate: secondo il magazine The Submarine, nel 2019 sono state distribuite 1227 certificazioni per singoli multiplatino (brani che hanno venduto più di 100 mila copie), platino (sopra le 50 mila copie vendute) e oro (25 mila copie vendute). Di queste solo 252 vanno ad artiste, il 20,53%. Su 173 certificazioni rilasciate dalla Federazione Industria Musicale Italiana per gli album più venduti in Italia nel 2019, invece, solo 15 sono andate alle artiste, l’8,67%.

Ma non è solo una questione di vendita della musica. Per comprendere meglio il fenomeno, possiamo prendere in considerazione una realtà tutta italiana: a esibirsi sul palco di Sanremo 2020, il Festival della musica italiana, saranno solamente 7 donne su un totale di 24 artisti. Un fatto che non è passato inosservato e che, come ci spiega Michela Murgia, “può avere solo due spiegazioni: o le donne cantano peggio degli uomini o qualcuno ne è convinto”. Insomma non è questione puramente di meritocrazia.

 

La disparità e la discriminazione sono trasversali a molti settori e non hanno ragione di persistere, ma è sempre importante tenere i riflettori accesi. E ascoltare le parole di Rula Jabreal, ieri sera proprio sul palco dell’Ariston:

“Lasciateci libere di essere ciò che vogliamo essere: madri di 10 figli e madri di nessuno, casalinghe e carrieriste […]. Sono stata scelta stasera per celebrare la musica e le donne, ma sono qui per parlare delle cose di cui è necessario parlare. […] Noi donne vogliamo essere libere, nello spazio e nel tempo, vogliamo esse proprio questo, musica”.

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