Cosa significa oggi essere donna in Italia? Dove, quando e in che modo le differenze di genere si manifestano nella vita quotidiana? Il Rendiconto di Genere 2024 del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’INPS prova a rispondere a queste domande seguendo le tracce della vita delle donne nel nostro Paese: dalle scelte scolastiche alla ricerca del lavoro, dalla maternità alla pensione, passando per le questioni sociali più gravi come la violenza di genere.
Un’analisi ampia e trasversale che non si limita a evidenziare i divari, ma ne indaga le radici, mostrando come le disuguaglianze si costruiscano, si alimentino e si accumulino nel tempo. E che ci ricorda quanto la parità non sia solo una questione di diritti, ma anche di possibilità concrete.
Nascere e crescere in un’Italia che invecchia
Nel 2023, l’Italia conta quasi 59 milioni di abitanti, con una leggera prevalenza femminile (51,1%). La struttura demografica, però, racconta un cambiamento profondo: la popolazione giovane – 0-14 anni – si riduce (12,2%), mentre cresce la fascia over 65, che supera il 24%.
In altre parole, si nasce meno e si vive più a lungo. Un trend che non riguarda solo l’Italia, ma che nel nostro Paese assume tratti particolarmente marcati: le nascite sono scese sotto le 380.000, contro le oltre 900.000 degli anni Sessanta. Dietro questi numeri ci sono molteplici fattori: l’instabilità economica, le difficoltà di conciliare lavoro e cura, la trasformazione dei modelli familiari, la scarsità di servizi per l’infanzia. Tutte condizioni che incidono in modo significativo sulle scelte riproduttive, soprattutto per le donne, su cui continua a pesare la maggiore responsabilità nella gestione della vita familiare.
Allo stesso tempo, la longevità è un dato che racconta un traguardo importante: le donne in Italia hanno una speranza di vita superiore di 5 anni rispetto agli uomini (85,2 vs 81,1). Ma vivere più a lungo non significa necessariamente vivere meglio. Per chi ha avuto carriere frammentate o ha svolto lavoro di cura non retribuito, la vecchiaia può tradursi in una maggiore vulnerabilità , e questa è l’esperienza di molte donne anziane in Italia.
Formazione: piĂą titoli, meno riconoscimento
Le giovani donne italiane studiano di piĂą, si diplomano prima e si laureano in percentuale maggiore rispetto ai coetanei maschi. Nei percorsi magistrali a ciclo unico, le donne rappresentano il 68,6% delle laureate e sono prevalenti anche nei master di primo e secondo livello.Â
Ma il possesso di un titolo non basta a garantire pari opportunità . Le scelte formative restano condizionate da stereotipi culturali: le studentesse sono ancora poco rappresentate nelle discipline tecnico-scientifiche, le cosiddette materie STEM. Nelle lauree triennali, solo il 40% dei laureati in questi ambiti è donna, e la percentuale cresce di poco nei livelli successivi. Una distribuzione che ha ricadute concrete: le competenze acquisite influenzano direttamente l’accesso a lavori più stabili e meglio retribuiti. Restare ai margini delle aree più strategiche, per cultura o mancanza di orientamento, significa partire già svantaggiate.
Anche il tasso di abbandono scolastico, seppur in calo, resta un indicatore critico: nel 2023 è al 10,5%, ancora sopra la media europea. Dietro queste uscite precoci possono esserci difficoltà economiche, contesti familiari fragili, o una sfiducia più generale nella possibilità di costruire un futuro autonomo.
Lavoro: tra occupazione instabile e barriere invisibili
Il lavoro è uno degli ambiti in cui il divario di genere si manifesta con maggiore evidenza. Nel 2023, il tasso di occupazione femminile si è fermato al 52,5%, contro il 70,4% degli uomini. Un gap che persiste anche tra le laureate: a un anno dalla fine degli studi, le donne sono meno occupate degli uomini, anche nei settori a maggiore domanda come le STEM.
A ciò si aggiunge una condizione occupazionale più fragile. Le donne sono più frequentemente impiegate con contratti part-time – spesso non per scelta volontaria– e sono più esposte a forme di lavoro precario o temporaneo. Nel settore privato, le donne con contratto a tempo indeterminato, infatti, rappresentano solo il 40% dei dipendenti con questo contratto. Un divario che si accentua nelle posizioni di vertice: le donne costituiscono il 21% dei dirigenti e il 32% dei quadri.
Questa situazione si intreccia con fattori territoriali e generazionali. Il fenomeno dei NEET – giovani che non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione – coinvolge soprattutto le ragazze nel Sud Italia: in Sicilia, Campania e Puglia, oltre il 24% delle giovani donne tra i 15 e i 29 anni si trova in una condizione di inattività prolungata.
Il quadro complessivo evidenzia dunque come l’accesso al lavoro per le donne non sia solo una questione di presenza, ma anche la qualità dell’impiego, le prospettive di crescita e la stabilità nel tempo.
Conciliare lavoro, maternitĂ e cura
Tra gli ostacoli alla piena partecipazione femminile al lavoro, la conciliazione con la vita familiare continua a giocare un ruolo chiave. Nel 2023, il 42,3% delle donne tra i 15 e i 64 anni risultava inattiva, rispetto al 24,3% degli uomini. Una disparità che riflette la carenza di servizi a supporto della genitorialità e un’organizzazione della cura ancora fortemente sbilanciata a discapito delle donne.
L’analisi dei congedi parentali conferma questa tendenza. Le madri hanno fruito del 73% dei congedi disponibili, con una media di 55 giorni per ciascuna. I padri, pur con un trend in crescita, si sono fermati al 27%, con una media di 21 giorni.
Il quadro si completa con un’offerta ancora insufficiente di servizi per la prima infanzia, sia in termini di posti disponibili che per la forte disomogeneità tra territori: a livello nazionale, gli asili nido riescono a coprire solo il 30% delle richieste, lasciando scoperta una parte consistente del bisogno. Nonostante la progressiva diminuzione delle nascite, tra il 2019 e il 2023 è cresciuto significativamente il numero di beneficiari del bonus asilo nido, insieme al costo medio mensile sostenuto dalle famiglie. Nel 2023, la spesa media ha raggiunto i 213,77 euro per le strutture pubbliche, segnando un aumento del 60,7% nel pubblico e del 56,7% nel privato rispetto al 2019.
La carenza di un’offerta pubblica diffusa e accessibile incide direttamente sull’occupazione femminile. In assenza di un adeguato sistema di sostegno alla genitorialità , molte donne si trovano costrette a ridurre l’orario lavorativo, a rinunciare a opportunità professionali o a uscire dal mercato del lavoro. Il risultato è un circolo vizioso: meno servizi, più carico sulle madri, minore partecipazione femminile all’economia.
Violenza di genere: anche questa è disuguaglianza
La violenza maschile contro le donne continua a rappresentare una delle forme più gravi e pervasive di disuguaglianza. I dati più recenti mostrano come questo fenomeno assuma, ancora oggi, una dimensione strutturale e fortemente radicata nei contesti familiari. Negli omicidi volontari consumati in ambito familiare o affettivo, circa due terzi delle vittime sono donne. Se si considera invece la sola sfera delle relazioni intime, il dato è ancora più netto: negli omicidi ad opera di partner o ex partner, l’87% delle vittime è di sesso femminile.

Particolarmente rilevante è anche la condizione delle donne con disabilità , che risultano più esposte a forme di violenza e abuso spesso meno riconosciute e meno denunciate. Su questo fronte, si stanno progressivamente rafforzando gli strumenti di rilevazione e tutela, ma permane una forte esigenza di visibilità e protezione specifica.
Accanto agli interventi di carattere giudiziario e di sicurezza, esistono misure di sostegno economico pensate per favorire l’autonomia e l’uscita da situazioni di violenza. Alcuni esempi sono il Reddito di libertà , destinato a supportare donne seguite dai centri antiviolenza, e il congedo retribuito per le vittime di violenza, previsto per le lavoratrici del settore pubblico e privato. Tuttavia, nel 2023, la loro diffusione è stata limitata a causa di vincoli di accesso e di un sistema informativo ancora poco capillare. Da ciò si intuisce che la presenza degli strumenti, da sola, non è sufficiente. Per rendere davvero efficaci queste misure è necessario rafforzare la rete dei servizi territoriali, migliorare l’informazione e lavorare sul piano culturale, affinché i segnali di rischio siano riconosciuti precocemente e le vittime possano sentirsi sostenute nel chiedere aiuto.
Pensioni: le disuguaglianze si riflettono anche nella vecchiaiaÂ
Quando arriva il momento della pensione, la somma delle disuguaglianze vissute si traduce in un dato secco: nel 2023, le donne ex lavoratrici dipendenti hanno percepito in media 10.905,6 euro in meno all’anno rispetto agli uomini (importo medio mensile: 989,0 per le donne vs 1.897,8 per gli uomini).

Un divario che è il risultato di quanto accade lungo l’intera vita lavorativa: tassi di occupazione più bassi, maggiore discontinuità , ruoli meno retribuiti, lavoro di cura non riconosciuto e limitato accesso alle posizioni apicali. Tutti elementi che incidono sull’importo dell’assegno previdenziale.
Anche strumenti come “Opzione Donna”, pensati per facilitare l’uscita anticipata dal lavoro, offrono sì flessibilità , ma a fronte di una penalizzazione economica che penalizza soprattutto le lavoratrici più fragili.
Il rischio è una vecchiaia economicamente vulnerabile, in cui il welfare non sempre riesce a compensare disuguaglianze accumulate nel tempo.
Una fotografia che chiama all’azione
Il Rendiconto di Genere 2024 ci restituisce un’immagine chiara: le disuguaglianze di genere attraversano tutte le fasi della vita delle donne e si influenzano tra loro, accumulandosi nel tempo. Nonostante i progressi normativi e culturali, persistono infatti barriere strutturali che limitano l’accesso a pari opportunitĂ .
I dati raccolti non sono solo una fotografia del presente, ma rappresentano una base concreta su cui costruire politiche più eque. Perché dietro ogni numero c’è un’esperienza reale, e riconoscere queste dinamiche è il primo passo per affrontarle in modo sistemico.