Donne e giovani spingono l’occupazione

È stato un mese con il segno più, quello di novembre 2019 per il lavoro in Italia. Secondo i dati pubblicati dall’Istat e riportati dal Corriere della Sera, il tasso di occupazione è al 59,4%. Come sottolinea lo stesso istituto di statistica, si tratta del valore più alto dall’inizio delle serie storiche, che partono dal 1977.  Analizzando i dati si scopre però che si tratta per lo più di impieghi poco produttivi, male remunerati e spesso a tempo parziale involontario, soprattutto per le donne.

 

I nuovi dati

In numeri assoluti, le persone che hanno un lavoro in Italia sono 23 milioni 486 mila. I posti in più, sempre rispetto al mese precedente, sono 41 mila. Quasi tutti, 35 mila, riguardano donne. Gli altri sei mila sono relativi agli uomini, ma il loro numero è così contenuto da essere considerato statisticamente non rilevante. Per quanto riguarda l’età a salire sono soprattutto gli under 34.  Ad aumentare sono i “posti fissi” cioé i lavoratori dipendenti con un contratto stabile, anche se senza il vecchio articolo 18: +67 mila. Mentre diminuiscono sia i dipendenti con un contratto a termine sia gli autonomi.

Se abbassiamo la lente di ingrandimento su un’altra variabile, viene però fuori che peggiora il tasso di disoccupazione giovanile (15-24anni) che a novembre risale di 0,4 punti. Mentre il tasso di disoccupazione generale resta stabile fermandosi al 9,7%. Ma è anche vero che resta il terzo peggiore in Europa, dietro solo a Grecia e Spagna.

 

In termini assoluti le persone in cerca di un lavoro sono cresciute di 12 mila unità rispetto al mese precedente. Aumento degli occupati, dunque, ma anche dei disoccupati. Un paradosso che si spiega con un altro numero, l’ultimo: il calo degli inattivi, meno 59 mila rispetto al mese precedente, cioè delle persone che non hanno un lavoro e che non lo cercano nemmeno. Cosa è successo? Sembra esserci una maggiore partecipazione degli italiani al mercato del lavoro.

 

Ma di che tipo di lavoro parliamo?

Nella fotografia dell’Istat manca però un elemento: il numero delle ore lavorate, cioè non le persone con un posto ma la quantità di lavoro. Nei dati mensili non viene rilevato. L’ultimo dato riguarda il terzo trimestre 2019, con un leggero aumento. Ma siamo ancora oltre il 4% sotto i livelli della fine del 2007.

«È da tempo che in Italia l’occupazione cresce più del Pil, un unicum», ragiona Andrea Garnero, economista Ocse su La Repubblica. «Purtroppo si tratta di occupazione di scarsa qualità perché poco produttiva e a meno ore. Abbiamo cioè più occupati che producono come prima e costretti al part-time involontario, più che raddoppiato da inizio crisi. D’altro canto il record di occupati è un trend globale, ad eccezione degli Stati Uniti. In parte dovuto anche a una popolazione in età da lavoro che si assottiglia. E restiamo in ogni caso penultimi in Europa. Il monte ore lavorato è ancora inferiore al pre-crisi».

E se i lavoratori aumentano ma le ore lavorate arrancano è difficile immaginare che quei posti in più siano di buona qualità. Infine, permangono le criticità del nostro mercato del lavoro, dalla caduta della produttività alla forte disomogeneità tra le varie aree del Paese.

 

Per leggere l’analisi completa proposta dal Corriere della Sera 

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