L’impegno c’è, i risultati non ancora. Nonostante circa il 98% delle aziende nel mondo abbia investito in qualche misura per l’inclusione e la promozione della diversità (con misure apposite per donne, persone di colore e Lgbtq), solo un quarto delle persone interessate (il 28%) ne ha beneficiato. Una situazione evidente anche in Italia, dove il 97% delle imprese ha adottato politiche a favore delle donne, ma quelle che ne hanno beneficiato sono appena il 29%.
È quanto risulta dal report realizzato da Boston Consulting Group intitolato “Fixing The Flawed Approach To Diversity”, che ha intervistato 16.500 dipendenti di aziende in 14 Paesi, tra cui l’Italia, individuando lacune e ritardi nell’implementazione delle misure antidiscriminatorie aziendali.
Il problema, come risulta dalle interviste effettuate, è strutturale. I vertici delle aziende sono dominati da un gruppo omogeneo di uomini bianchi (o appartenenti al gruppo dominante), over 45 ed eterosessuali. Tra i leader delle aziende di Fortune 500 solo 24 sono donne (meno del 5%), tre di colore e tre omosessuali. Le conseguenze sono intuibili: i dirigenti sottostimano gli ostacoli incontrati da questi dipendenti, nonostante l’alta esposizione mediatica delle problematiche del lavoro femminile abbia portato maggiore sensibilità sulla questione.
Insomma: nonostante l’impegno profuso, c’è ancora molto da fare. Ma cosa, con esattezza?
È ciò cui risponde il report. Delle 31 soluzioni per l’inclusione proposte, distingue misure basilari (Back-to-Basics), considerate utili dalla totalità dei lavoratori, e cosiddette “gemme nascoste”, iniziative trascurate dalla maggioranza ma considerate molto efficaci dagli esponenti delle categorie minoritarie.
Tra le misure basic c’è il rafforzamento delle policy antidiscriminatorie, spesso viste dalle aziende alla stregua di un dovere burocratico. L’inclusione invece passa di qui: prima, attraverso l’istituzione di corsi di formazione contro i “pregiudizi inconsci”, cioè i bias che condizionano a tutti i livelli i comportamenti e le scelte del personale. Poi con dibattiti informali, guidati da facilitatori, con cui i dipendenti prendono atto – e contrastano – i casi di pregiudizio quotidiani.
Per ogni bisogno poi il report intercetta misure specifiche. Dalle donne, che mirano in particolare a conciliare lavoro e famiglia senza danni alla carriera, viene chiesta una gestione più elastica dell’orario di lavoro (part-time, da remoto, turni modificabili). È incoraggiata anche una maggiore presenza femminile in ruoli apicali, insieme ai congedi parentali (la terza preferenza) e le strutture per la cura dei figli, anche interne (11esima preferenza).
Leggermente diverse le preferenze delle donne italiane: significativo che al primo posto ci sia la richiesta di un’esperienza quotidiana libera da pregiudizi in attività di staffing o nella partecipazione alle riunioni (solo 8° nel ranking globale). L’aumento della diversity aziendale, insomma, deve essere un parametro della performance da rafforzare e monitorare nel tempo per efficacia ed effetti. Solo così si ridurranno gli ostacoli all’inclusione ancora presenti.
Per leggere il report completo Fixing The Flawed Approach To Diversity di BCG