Deadnaming, cos’è e perché non utilizzare il dead name 

Il termine “deadnaming” si traduce dall’inglese come una pratica che allude a riferirsi alla persona transgender con il suo nome di nascita, cioè il cosiddetto “dead name”. Scopriamo nel dettaglio in cosa consiste e perché è importante non utilizzarlo.

Che cos’è il deadnaming? 

La sensibilizzazione sul concetto del “deadnaming” è importante, poiché spesso questa pratica viene compiuta per mettere a disagio la persona transgender o non binaria. Ma cos’è il deadnaming? È l’utilizzo del “dead name” cioè il nome di battesimo nel quale ormai la persona transgender non si riconosce più – da parte di altre persone. Ciò può avvenire in maniera involontaria così come in modo deliberato, ovvero quando chi attua il deadnaming rifiuta la nuova identità della persona transgender.

Per molte persone transgender il cambio del nome è un aspetto difficile, specie se si considerano gli iter burocratici. Infatti, nel percorso di transizione delle persone transgender, non inteso solo con l’operazione chirurgica, ma anche dal punto di vista sociale con il coming out, questo è il primo passo per sentirsi a proprio agio e identificarsi al meglio nel nuovo nome e identità di genere.   

L’espressione del deadnaming avviene anche tramite l’uso scorretto dei pronomi. Scegliere un pronome inappropriato per rivolgersi a una persona transgender, può trasmettere l’idea di non averne recepito la nuova identità. Una comunicazione rispettosa deve tenere conto anche di questo aspetto, anche se nella lingua italiana non è presente alcun genere neutro. Proprio per questo, è consigliabile chiedere direttamente alla persona per capire qual è il modo più corretto e inclusivo di rapportarsi.  

Perché non utilizzare il dead name?  

L’utilizzo del dead name, così come l’errato uso dei pronomi, è un atto discriminatorio che può risultare molto spiacevole e dannoso per le persone transgender, in particolare quando il deadnaming diventa intenzionale, persistente e assume la forma di un’aggressione verbale. Usare il dead name in contesti pubblici o davanti a persone sconosciute può inoltre costringere a spiegare la propria storia, obbligando a un “coming out” non desiderato e questo nega alla persona la libertà di decidere se e quando condividere il proprio percorso personale. Un ulteriore problema è legato alle reazioni altrui: l’uso del dead name può innescare speculazioni inappropriate sull’aspetto fisico o rafforzare stereotipi sessuali, rendendo l’ambiente ancora più ostile o imbarazzante.  

Queste dinamiche non solo violano la privacy, ma possono rendere più difficile rapportarsi con le persone, specie in presenza di altre che sono meno tolleranti nei confronti delle persone transgender.   

In uno studio realizzato nel 2022 dal National Center for Transgender Equality negli Stati Uniti su un campione di 92.329 persone (di cui 84170 adulti), di 50 stati differenti, è emerso che negli ultimi 12 mesi il 30% delle persone intervistate ha subito molestie verbali riguardo la propria identità o espressione di genere. A volte l’atto avviene anche tra le mura domestiche, con membri della famiglia violenti o irrispettosi nei confronti della persona transgender. Infatti, l’11% delle persone intervistate, di età compresa tra i 16 e 17 anni, ha riferito di non aver trovato alcun supporto nella propria famiglia sul fatto di essere una persona transgender e di essere stato trattato con violenza. Nelle percentuali evidenziate sul documento si denota che l’8% delle persone intervistate sono state cacciate da casa per via della loro identità. Le forme di molestie, però, sono anche tra i banchi di scuola: più di tre quarti degli intervistati adulti e quasi due terzi degli intervistati di 16-17 anni che si sono dichiarati o percepiti come persone transgender, nel periodo tra quello delle scuole elementari e il liceo, hanno subito una o più forme di maltrattamento o vissuto un’esperienza negativa, tra cui molestie verbali, attacchi fisici, bullismo online, rifiuto di vestirsi secondo la propria identità/espressione di genere, rifiuto da parte degli insegnanti o del personale di usare il nome o i pronomi scelti o rifiuto di usare i bagni o gli spogliatoi corrispondenti alla propria identità/espressione di genere. 

Non utilizzare il dead name è fondamentale per il benessere psicologico. Evitare il deadnaming e adottare un linguaggio rispettoso è importante per il raggiungimento di una società concretamente più inclusiva e un ambiente accogliente per tutte le persone, indipendentemente dall’identità di genere. 

La libertà di essere sé stessi 

Per promuovere una cultura del rispetto e scoraggiare l’uso del deadnaming – e di tutte quelle forme di comunicazione che ignorano la volontà delle persone transgender – è necessario sensibilizzare ed educare l’opinione pubblica. Attraverso iniziative e campagne mirate, è possibile favorire un cambiamento culturale che incoraggi il rispetto e l’inclusività in qualunque contesto. Negli ultimi anni sono state realizzate numerose campagne con lo scopo di creare spazi più accoglienti e di comunicare al meglio con le persone transgender. 

Nel 2019 Starbucks UK ha realizzato un cortometraggio che è stato premiato su Channel 4 nella categoria Advertising Awards 2019. Il mini-film della campagna #whatsyourname sottolineava quanto fosse importante il nome per la persona transgender e sosteneva le attività dell’organizzazione Mermaids: grazie a quest’ultima, infatti, tante persone hanno affrontato il processo di transizione beneficiando di un supporto e di un sostegno psicologico.   

La libertà di esprimere la propria identità, anche attraverso l’utilizzo del nome scelto, è un diritto fondamentale per tutte le persone transgender. La recente campagna “Chiedimi se sono felice”, promossa da Arcigay in collaborazione con l’associazione Affetti oltre il Genere, ne è la testimonianza. Attraverso sette video, ragazzi e ragazze transgender condividono le loro esperienze insieme ai genitori, sottolineando l’importanza del riconoscimento della loro identità e della libertà di essere sé stessi. Riconoscere l’identità di genere di una persona transgender, chiamandola con il nome che ha scelto ed evitando l’uso del dead name, è un atto di rispetto e correttezza. Questo semplice gesto può contribuire a creare una società più inclusiva e a migliorare il benessere di chi è ancora troppo spesso vittima di discriminazione.

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