Conciliare vita professionale e cura dei figli, ancora troppi gli ostacoli

Sono quasi 10 milioni le donne con figli minorenni in Italia. Scelgono la maternità sempre più tardi, con una media di 31 anni per il primo figlio, ponendosi in cima alla classifica europea per anzianità delle donne al primo parto. La natalità, poi, ha toccato un nuovo record negativo — 449 mila nascite nel 2018, 9 mila in meno rispetto all’anno precedente (dati Istat).

 

Occupazione e maternità

In questo quadro negativo si inserisce un altro dato critico: il tasso di occupazione femminile, che in Italia è  tra i più bassi a livello europeo, crolla drasticamente per le donne con almeno 1 figlio, raggiungendo il 44% per chi ne ha 3 (in EU mediamente è al 56,8%).

Nel 2016 le donne che si sono licenziate poco dopo la gravidanza sono state 35.140. Di queste, solo 5.261 sono passate a un’altra azienda dopo il periodo di maternità. Per tutte le altre, cioè ben 29.879 donne, la difficoltà di conciliare famiglia e lavoro è stata tale da tenerle lontane dal mondo lavorativo.

Ma non deve essere per forza così: «Il rientro al lavoro dopo la maternità è un passaggio delicatissimo e denso di ansie» spiega Carola Adami, amministratore delegato della società di head hunting Adami & Associati «ma esistono alcuni accorgimenti per rendere questo momento meno difficile. In primo luogo, è necessario eliminare i tipici sensi di colpa che tengono le neo-mamme lontane dal rientro, ma il fatto stesso di avere una carriera soddisfacente permette di vivere anche la vita familiare con maggiore serenità, così da eliminare l’ansia eccessiva».

 

Potenziare le misure di conciliazione vita privata – lavoro

Il principale nodo da sciogliere è quello della conciliazione tra dimensione lavorativa e impegni familiari. Le carenze su questo fronte portano le donne con figli a dover rinunciare al lavoro. In Italia queste rinunce individuali non solo vincolano al ribasso le scelte femminili, ma alimentano squilibri che diventano un costo collettivo per le ricadute su: bassa natalità, disuguaglianze sociali, inefficiente utilizzo del capitale umano.

Un potenziamento delle misure di conciliazione avrebbe quindi un effetto positivo sull’occupazione femminile e di riflesso sulla fecondità. La cultura della conciliazione deve, inoltre, poter entrare in modo solido nelle aziende con particolare attenzione a quelle piccole e medie.

La parola d’ordine, da questo punto di vista, è flessibilità, un concetto che, grazie allo smart working, si sta diffondendo sempre di più. Non è certo un caso se nelle classifiche dedicate alle misure che facilitano la maternità in azienda spiccano gruppi altamente innovativi e presenti anche in Italia, come Marriott, IBM, American Express, Procter & Gamble, Lego, Johnson & Johnson e via dicendo» conclude l’head hunter.

«Non sono pochi gli studi che dimostrano i vantaggi, per le aziende, di contare delle mamme nel proprio organico» sottolinea ancora Carola Adami «e per questo i dirigenti aziendali dovrebbero impegnarsi doppiamente per rendere il luogo di lavoro più accogliente per le mamme lavoratrici.

 

Articoli correlati