Che cos’è la diversità etnico-culturale? Definizioni e concetti fondamentali

La diversità etnico-culturale è una delle tematiche più complesse e sfaccettate che compongono la DEI, ma spesso il dibattito sull’argomento viene limitato al colore della pelle, all’uso di una lingua straniera, alla scelta di indossare simboli religiosi. Tutte caratteristiche che rimandando ad aspetti “visibili” della diversità in questione. Quest’ultimi sono solo alcuni di quelli che contraddistinguono la diversità etnico- culturale, che rimane un tema articolato e ancora poco esplorato in Italia nella sua intersezionalità: l’etnia e la cultura sono, infatti, caratteristiche identitarie che bisognerebbe analizzare anche in rapporto ad altre diversità, come per esempio di genere o generazionale, per comprendere davvero le svariate sfumature delle esperienze di persone appartenenti a minoranze etnico-culturali.

Al riguardo la ricerca “Oltre le generazioni: esperienze, relazioni, lavoro” di Valore D evidenzia il collegamento tra questi tratti fondanti dell’identità di una persona e l’importanza di occuparsi della diversità etnico-culturale in ambito sociale e aziendale.

Percezione italiana

 

Cultura ed etnia contribuiscono in maniera significativa all’identità personale e al modo in cui gli individui entrano in relazione, pensano e fanno esperienza del mondo circostante. Da questo punto di vista, i dati demografici italiani ci restituiscono l’immagine di un paese in cambiamento dove sono presenti diversi gruppi etnici e culturali, persone con background migratorio di prima e nuova generazione, cittadini/e italiani/e o persone residenti in Italia spesso percepite come “straniere” solo perché appartenenti a una minoranza.

Dal report di McKinsey del 2024 “Minoranze etnoculturali in Europa: una potenziale triplice vittoria” emerge che le minoranze etnico-culturali in Italia rappresentano il 7% della popolazione, ovvero 3,9 milioni di persone che spesso non vengono prese in considerazione nella narrazione comune italiana nonostante si registri un continuo aumento di multiculturalità, soprattutto tra le generazioni più giovani.  Ciò risulta anche dai dati dalla ricerca “Oltre le generazioni”: tra i Baby Boomer il 2,9% è nato in Italia da genitori non italiani e il 1,7% è nato all’estero, tra la Generazione Z il 7,9% è nato in Italia da genitori non italiani e il 5,4% è nato all’estero.

“Seppur siamo ancora lontani da una società dove le singole diversità sono riconosciute, valorizzate e hanno accesso a eque opportunità, la diversità etnico-culturale è un dato di fatto e una ricchezza per il paese e per le aziende. Eppure, questo tema è ancora poco trattato nel contesto lavorativo italiano. Affrontarlo è tuttavia imprescindibile per creare ambienti più inclusive e sviluppare policy ad hoc, così come è stato fatto per altri tipi di diversità, come ad esempio quella di genere”.

“Oltre le Generazioni”, ricerca Valore D

Cosa intendiamo per etnia e “razza”?

 

Con il termine etnia si fa riferimento a un gruppo di persone che condividono elementi culturali, caratteri fisico-somatici e che hanno una storia e un’origine geografica comuni. Un esempio di gruppo etnico può essere quello dei cittadini italiani appartenenti alla comunità ebraica oppure dei cittadini americani di origine cinese.

Negli Stati Uniti si utilizza il termine “race” insieme a quello di “ethnicity” per riferirsi a quelle differenze fisico-somatiche, come il colore della pelle, che possono caratterizzare persone appartenenti allo stesso gruppo etnico. Nonostante la parola “razza” in Italia non sia oggi utilizzata, il termine “race” in altri contesti serve a riflettere sulle classificazioni umane e sulle costruzioni sociali consolidatesi nel tempo per supportare e giustificare discriminazioni e violenze attuate nei confronti di gruppi minoritari. Nel nostro Paese si preferisce la parola etnia per fare riferimento a questi fenomeni.

Nella storia dei popoli si sono succeduti periodi in cui discriminazioni tra gruppi, violenze, genocidi, forme di sfruttamento, violazioni di diritti umani e civili sono stati giustificati dall’inferiorità razziale e quindi biologica di un gruppo rispetto a un altro. Tuttavia, come sostiene Svante Pääbo, biologo e direttore del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology in Germania:

“Gli studi genetici effettuatati in diverse parti del mondo hanno dimostrato che, anche tra Africa e Europa, non esiste nessuna differenza genetica, nessuna variante tra i gruppi umani. La diversità è basata su come la genetica umana si sia evoluta in regioni e continenti diversi; quindi, si tratta di una interazione consolidata nei secoli tra un corredo biologico comune e degli habitat differenti“.

Nonostante non ci sia nessuna differenza genetica tra gruppi umani e ci sia sempre più consenso nel definire la “razza” come un costrutto sociale, persiste una realtà sociale legata alla razza, ovvero il razzismo, e l’impatto che le discriminazioni hanno sulla salute e il benessere di persone appartenenti a minoranze dentro e fuori il contesto lavorativo.

Cosa intendiamo per cultura?

 

Con il termine cultura si fa riferimento alla lente attraverso la quale le persone guardano e interpretano il mondo che le circonda e può includere il linguaggio, le usanze, le credenze, le norme, i valori ma anche i prodotti che consumano nella quotidianità e le abitudini alimentari.

Per comprendere il concetto più a fondo, un esempio di diversità culturale può essere quello di una donna nata e cresciuta a Bari da genitori baresi rispetto a un’altra donna nata e cresciuta ad Aosta da genitori aostani. Entrambe le donne sono italiane ma possono essere culturalmente molto distanti tra loro.

Etnia e cultura: insieme per una definizione completa

 

Dato che i termini etnia e cultura non sono propriamente sinonimi è importante utilizzarli entrambi per cogliere sfumature differenti legati a questo tipo di diversità.

Bisognerebbe, infatti, non solo considerare gli aspetti culturali che differenziano gruppi e persone ma anche quelle caratteristiche fisiche-identitarie (es.: colore della pelle, texture dei capelli ecc.) di gruppi minoritari che possono essere oggetto di discriminazione e fare esperienza, per questo, di disuguaglianze economiche e sociali importanti.

Come per altri tipi di diversità, anche quella etnico-culturale richiede un’educazione ad un linguaggio più consapevole ed inclusivo.

Spesso, infatti, vengono utilizzati termini discriminatori o non appropriati senza accorgersene come nel caso delle parole “straniero” o “extracomunitario”. Al riguardo, è utile ricordare che appartenere a una minoranza etnico-culturale non significa necessariamente essere una persona “straniera”, “extra-comunitaria” e quindi non nata in Italia (vedi le nuove generazioni).

Al tempo stesso, talvolta si fa uso di concetti che “suonano” meno offensivi ritenendo siano più “politically correct”. Un esempio importante di quest’ultimo caso è l’utilizzo della formula “persona di colore” anziché “persona nera”: questa espressione lascia sottintendere che la pelle bianca sia al di fuori del concetto di “colore” e che in qualche modo ne sia al di sopra. Dunque, seppur usata in buona fede, tale formulazione è frutto di una storia colonialista e di bias culturali che ancora associano al colore nero un’accezione negativa stereotipata.

Perché la diversità etnico-culturale è importante nel mondo del lavoro?

 

Sempre secondo lo studio di McKinsey riportato sopra, una maggiore inclusione delle minoranze etnoculturali può portare alla crescita aziendale, all’emancipazione economica delle minoranze e ad altri benefici più ampi che potrebbero contribuire al superamento delle sfide strutturali che le economie europee stanno affrontando come, ad esempio, il rallentamento della crescita economica (0,8% nel 2023), l’aumento dei posti di lavoro vacanti (2,9% nell’UE nel 2022) e l’invecchiamento della popolazione nazionale (si prevede che il 41% avrà più di 55 anni entro il 2050).

Per poter trarre beneficio dallo scambio di team multiculturali e multietnici però è fondamentale impegnarsi per garantire a questi gruppi minoritari pari opportunità all’interno degli ambienti di lavoro. Infatti, il 66% delle persone che appartengono a minoranze etnoculturali ha vissuto in prima persona episodi di razzismo sul lavoro, di cui il 48% sono battute, insulti o commenti offensivi e il 32 % sono disparità occupazionali come differenze retributive, mancata promozione, esclusione dal lavoro di squadra e dalle riunioni.

“Si tratta di occuparsi della tematica partendo da azioni semplici ma essenziali per affrontare la complessità della questione. Tra queste, per esempio, conoscere lo status della diversità etnico-culturale della propria azienda e non affrontare quest’ultima come esperienza monolitica; lavorare sui bias e sul linguaggio inclusivo di tutte le persone in azienda indipendentemente dai ruoli; educare alla sensibilità interculturale; interrogarsi sulle esperienze dei lavoratori e lavoratrici che affrontano quotidianamente barriere linguistiche o subiscono discriminazioni per la propria identità etnica.”

“Oltre le Generazioni”, ricerca Valore D

Gli strumenti di Valore D: Workshop e Inclusion Impact Index Plus

 

Nell’ottica di favorire una maggiore attenzione sul tema e portare un cambiamento concreto, Valore D ha coinvolto il suo network in un’attività di sensibilizzazione e di confronto con il Workshop generativo interaziendale sulla diversità etnico-culturale, tenutosi l’8 maggio, in cui le aziende associate sono state invitate a riflettere, in base alle proprie esperienze quotidiane, su cosa consiste la diversità etnico-culturale, quali sono le sfide e quali invece le opportunità per generare azioni incisive.

In occasione della Giornata Mondiale della Diversità Culturale per il Dialogo e lo Sviluppo (21 maggio), inoltre, Valore D ha preso parte all’evento “Riconoscere la diversità etnico-culturale in Italia, dati ed esperienze” realizzato in collaborazione con In-Formazione – Progetti di sostenibilità sociale e dedicato alla diversità etnico-culturale come componente chiave e potenziale del tessuto sociale, produttivo ed economico del Paese. Nel corso dell’incontro sono stati condivisi dati italiani ed europei, testimonianze ed esperienze in compagnia di ospiti d’eccezione, con la moderazione di Shata Diallo Senior Consultant & Inclusion Lead MIDA.

Per indagare gli aspetti legati alla diversità etnico-culturale, Valore D mette a disposizione delle aziende l’Inclusion Impact Index Plus, lo strumento che offre alle imprese una mappatura personalizzata delle politiche DEI interne, garantendo una misurazione completa che evidenzia i punti di forza e le criticità presenti nel contesto aziendale. Al riguardo, sotto la voce Cultura vengono indagati più elementi come religione, etnia, provenienza geografica, lingua ecc.

Dai dati raccolti dal Benchmark generale aggiornato a marzo 2024, le aziende dotate di una policy DEI (48%) sostengono che gli aspetti legati alla Cultura vengano trattati nell’84.9% dei casi. Nel concreto, le aziende hanno riscontrato che:

•nelle policy sulla ricerca e sulla selezione: Cultura 47.8% (VS Genere 62.7%)

•nel CdA: Cultura 44.1% (VS Genere 91.5%)

•nel piano strategico DEI: Cultura 68.6% (VS Genere 94.1%)

•nella formazione sulla DEI: Cultura 66.7% (VS Genere 96%)

•nella comunicazione esterna sulla DEI: Cultura 55% (VS Genere 98.8%)

•nel bilancio di sostenibilità sulla DEI: Cultura 62.1% (VS Genere 94.3%)

 

Per saperne di più visita la pagina dedicata all’Inclusion Impact Index Plus.

 

 

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