Il primo a coniare il termine ageismo fu Robert Neil Butler, medico e psichiatra statunitense vincitore, nel 1976, di un premio Pulitzer. La parola fa riferimento all’alterazione di credenze, comportamenti e sentimenti nei confronti di persone che appartengono ad una fascia d’età diversa dalla propria.
L’ageismo, come da definizione, comprende tutti gli stereotipi e gli atteggiamenti discriminatori verso singoli o gruppi di individui, alla cui base c’è una motivazione anagrafica. I dati del Global Report on Ageism (ONU, 2021) parlano chiaro: in Europa una persona su tre, sia giovane che anziana, si dichiara vittima di questo tipo di discriminazione, oramai sempre più diffusa.
Cos’è l’ageismo e come si manifesta
La parola ageismo può essere utilizzata come termine ombrello per definire le diverse forme discriminatorie, nonché i pregiudizi e gli stereotipi, basati sull’età. Ad oggi diversi studi dimostrano l’impatto negativo che questo ha su coloro che ne sono vittime, sia a livello di salute psicofisica, sia per quanto riguarda le attività sociali e lavorative. Il rischio maggiore, soprattutto nella fascia anziana, è quello di interiorizzazione dello stereotipo, fenomeno che causerebbe l’introiezione negativa della propria immagine e la conseguente accelerazione dei processi di invecchiamento.
All’interno della sfera sociale e personale l’ageismo si manifesta in differenti modalità: a livello strutturale agisce sulle leggi e le politiche pubbliche, svantaggiando alcuni individui in base alla loro età; dal punto di vista relazionale crea divario generazionale nella dimensione del dialogo e dei rapporti; a livello introspettivo, come si è detto, agisce sull’autostima e sulla percezione che si ha di sé e delle proprie capacità.
Sempre più spesso, inoltre, si parla di ageismo digitale, intendendo l’insieme dei comportamenti e dei pregiudizi nei confronti degli over 65, e non solo, circa la capacità di approcciarsi e utilizzare le tecnologie, navigare su Internet, usare i social media e tutte le attività legate alla sfera del digitale.
Youngism e ageismo di genere
Sebbene in origine l’ageismo si rivolgeva prevalentemente alla fascia anziana, oggi a fronte di uno scenario lavorativo sempre più multigenerazionale, i pregiudizi anagrafici colpiscono le persone di ogni età, con sfumature e motivazioni di volta in volta differenti. Il termine youngism, ad esempio, indica l’atteggiamento ageista verso i giovani adulti, coloro che si ritrovano all’inizio della loro carriera lavorativa e il cui grado di maturità e capacità viene identificato con l’età.
In più, dai diversi studi effettuati, come quello realizzato da Women of Influence+, “Exploring the Impact of Ageism on Women in the Workplace” emerge che l’ageismo non colpisce in egual misura donne e uomini intersecandosi con fenomeni culturali radicati come gli stereotipi di genere. A parità di età, le donne risultano più svantaggiate e l’ageismo diventa quindi agesimo di genere. Infatti, quasi l’80% delle donne che hanno partecipato allo studio ha dichiarato di aver subito, nel corso della propria carriera lavorativa, discriminazionilegate all’età.
Ciò che emerge, dalle voci delle partecipanti, è che le donne non si sentono mai nell’età giusta. Con l’invecchiamento vengono considerate meno capaci, quasi fossero antiquate, mentre da giovani sperimentano veri e propri deficit di credibilità venendo ad esempio confuse come studentesse o tirocinanti o, addirittura, percepite come potenzialmente vicine ad una maternità.
Combattere l’ageismo è possibile
Nella società di oggi, il benessere e la buona convivenza tra generazioni sono fattori chiave da considerare nei diversi settori della vita quotidiana, dal tempo libero alla sfera lavorativa. Saper attrarre e trattenere talenti di ogni età è cruciale per il successo di un’impresa. In Italia, a fronte di un invecchiamento sempre più rapido, una percentuale in crescita di anziani e un conseguente allungamento della vita lavorativa, la multigenerazionalità è una caratteristica che ha bisogno di essere presa in considerazione e l’ageismo una discriminazione da contrastare.
La ricerca “Oltre le generazioni: esperienze, relazioni e lavoro”, realizzata da Valore D in collaborazione con il centro di ricerca Behave Lab dell’Università degli Studi di Milano mira a comprendere non solo la quantità e la qualità delle differenze generazionali presenti nelle organizzazioni italiane, ma anche i possibili punti di contatto tra di esse. Perché è di questo che si tratta: di andare oltre, di favorire scambi tra generazioni che siano costruttivi, in grado di superare gli stereotipi anagrafici e capaci di valorizzare i talenti di ognuno.
Non solo. È importante che anche dalla sfera politica si abbiano leggi e direttive mirate a combattere l’ageismo e le forme di discriminazione per età. Proprio per questo la Fondazione Longevitas di Roma, insieme ad altre 21 organizzazioni firmatarie, ha presentato al Parlamento Europeo il “Manifesto Europeo contro L’Ageismo”, un documento di 9 punti in cui sono sintetizzate le misure necessarie.
E le proposte arrivano anche da oltreoceano
Nel 1967 negli Stati Uniti venne approvata la ADEA, Age Discrimination in Employment Act, una legge istituita per proteggere dalla discriminazione i lavoratori di età pari o superiore ai 40 anni. Nonostante questa, ad oggi molte città e Stati degli Usa si impegnano nella tutela di tutte le categorie anagrafiche, giovani e anziane, contro le manifestazioni di ageismo.
Nel suo articolo “Five First Steps for Addressing Workplace Ageism” Forbes elenca 5 idee da cui partire per combattere l’ageismo sul luogo di lavoro. Tra queste, al primo posto ci sono l’educazione e la formazione, elementi che dovrebbero essere prerequisiti in ogni settore aziendale, specie in ambito di recruitment. Un esempio è lo sharing lab di Valore D, “Persone oltre le generazioni”, che prende come punto di partenza i risultati ottenuti dalla ricerca “Oltre le generazioni – Esperienze, relazioni, lavoro”. L’obiettivo è educare alla valorizzazione delle persone a prescindere dall’età e favorire lo sviluppo di un dialogo intergenerazionale.
In secondo luogo, serve che le politiche che riguardano la diversità e l’inclusione comprendano anche l’aspetto dell’età anagrafica e tendano a creare una cultura multigenerazionale che sia una risorsa e non un ostacolo. Altro aspetto importante, infine, è lavorare sul linguaggio inclusivo attraverso la rimozione dei bias linguistici e comportamentali che perpetuano stereotipi ageisti, frequenti soprattutto in casi di ageismo digitale.
Dialogo, educazione e politiche aziendali e governative mirate per combattere le discriminazioni sono dunque i pilastri su cui iniziare a costruire, per far sì che il futuro – ed il presente – siano sempre più distanti da manifestazioni di ageismo e da altre forme di discriminazione, e trovino la loro forza nel valore delle diversità.