Nel 2023 in occasione della ‘Giornata internazionale della donna’ Valore D aveva arricchito il dibattito con un focus sul confronto tra generazioni e sul mutamento del significato dell’8 marzo nel tempo. L’impegno di quest’anno è volto ad ampliare ulteriormente la discussione, includendo i punti di vista delle donne con diversi background etnico-culturali che spesso vengono trascurati durante questa ricorrenza.
Intersezionalità e narrazioni
Dal report di McKinsey del 2024 “Ethnocultural minorities in Europe: A potential triple win” emerge che le minoranze etnico culturali in Italia rappresentano il 7% della popolazione, ovvero 3,9 milioni di persone che fanno esperienze di vita frequentemente escluse dalla narrazione comune italiana. E di queste persone il 51% sono donne.
Per questo motivo non si può parlare di ‘Giornata internazionale dei diritti della donna’ senza tener conto anche di questo 51%: per raggiungere l’equilibrio di genere è necessario aprire il dialogo e il confronto a una pluralità di prospettive. Non possiamo più affidarci a un’unica e sola narrazione.
“La storia unica crea stereotipi. E il problema degli stereotipi non è solo che non siano veritieri, ma che sono incompleti, che fanno diventare una storia la sola storia”.
Chimamanda Ngozi Adichie
Questo metodo di analisi si chiama intersezionalità ed è uno strumento fondamentale per comprendere le strutture di potere interne alla nostra società e come queste influenzano le persone e le comunità. Il termine sottolinea l’interconnessione e l’intersezione che esiste tra diverse forme di discriminazione e oppressione e invita quindi a considerare le persone nella loro interezza, includendo etnia, genere, classe sociale, orientamento sessuale, età, disabilità, ecc. piuttosto che ridurre le loro esperienze a una singola dimensione.
Adottando questo approccio si comprende come donne aventi background etnico-culturali differenti abbiano punti di vista diversi che arricchiscono il dibattito sul divario di genere. Infatti, approfondire le dinamiche che emarginano o ostacolano le donne in base alla provenienza, etnia o cultura può essere un prezioso aiuto per capirne i bisogni specifici, per dare loro valore e per pianificare strategie in grado di ridurre ed eliminare gli svantaggi che aggiungerebbero decenni a quei famosi 131 anni mancanti per raggiungere la parità di genere (Global Gender Gap Report 2023).
La visibilità combatte lo stereotipo
Di frequente le persone che indossano il velo, che presentano forme del viso o colore della pelle diversi dallo standard eurocentrico, vengono immediatamente identificate come non italiane. L’Europa però è diventata terra di immigrazione da diversi decenni e oggi oltre un quinto della sua popolazione residente in età lavorativa è nata all’estero o ha almeno un genitore nato all’estero.
Se si prendono in considerazione soltanto i cittadini extra-comunitari e i loro discendenti, si parla di circa 17 milioni di persone, persone che solitamente si stabiliscono nel paese ospitante e vi trascorrono il resto della vita. Ma in questo dato raccolto da Eurostat non viene incluso il gruppo di discendenti in età non lavorativa. Infatti, nei paesi dove i flussi migratori sono più recenti come in Italia, le cosiddette seconde generazioni, sia che abbiano entrambi i genitori stranieri, sia che siano i figli di unioni miste, stanno diventando sempre più numerose e costituiscono gran parte della popolazione scolastica.
Queste bambine e bambini che sono a tutti gli effetti cresciuti in territorio italiano faticano ogni giorno a conciliare le diverse parti della propria identità spesso a causa di una mancanza di rappresentazione.
“C’è un’intera generazione di italiani neri che è cresciuta senza potersi identificare in un modello che somigliasse loro. Abbiamo letto libri, guardato film, frequentato aule universitarie, fatto colloqui, svolto lavori con la consapevolezza di essere le uniche persone nere nella stanza.”
Nadeesha Uyangoda, L’unica persona nera nella stanza
Il modo in cui viene percepita, immaginata e – di conseguenza – vissuta la realtà dipende anche dalla rappresentazione: riconoscere la propria comunità o i propri ideali fa sentire parte del mondo e in quanto tale di avere importanza. Rappresentare persone e comunità differenti significa a tutti gli effetti riconoscerne la presenza, la partecipazione, il loro ruolo nella società.
La rappresentazione è necessaria per garantire visibilità. Questo riguarda anche il mondo aziendale perché quando le persone non trovano una rappresentazione nella quale riconoscersi faticano a sentirsi parte dell’impresa e non sono invogliate né a parteciparvi né a dare il meglio di sé.
Donne, lavoro e background
La storia del femminismo italiano è profondamente legata alla lotta per il diritto di voto e di rappresentanza, per l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza e al contrasto alla violenza di genere. Se però si tiene conto della visione intersezionale diventa necessario parlare anche del problema del permesso di soggiorno, della segregazione delle donne immigrate nel mondo del lavoro domestico, della cittadinanza.
Tra le donne lavoratrici, quelle extra-europee risultano maggiormente penalizzate: nel 2022 i loro tassi di occupazione sono risultati molto più bassi rispetto a quelli delle italiane (43,7% contro 51,5%). Senza contare che la quota di donne straniere che ritengono di svolgere un lavoro poco qualificato è di 2,3 volte superiore a quella delle donne italiane nate in Italia e per le persone laureate è di 3,8 volte superiore, dati che crescono con l’aumentare dell’età dei soggetti (ISMU, XXIX Rapporto sulle migrazioni 2023).
Inoltre, in Italia esistono un gran numero di donne di origine straniera, madri single, che vengono relegate ai lavori di cura in famiglie italiane bianche, senza strumenti linguistici o una rete sociale per potersi prendere cura altrettanto bene della propria famiglia, a volte lontana chilometri. Sono lavoratrici essenziali che però spesso si trovano in situazioni di oppressione (sfruttamento del lavoro, deregolazione dei rapporti di subordinazione, mancato pagamento dei contributi, lavoro in nero) ed è necessario includerle nei tavoli di discussione se si desidera raggiungere una parità di genere effettiva e duratura.
Il potere delle storie
La rappresentazione della diversità è dunque sempre più necessaria per contrastare le discriminazioni e costruire un mondo più inclusivo. Le esperienze che vengono condivise possono ispirare le persone e creare movimenti di cambiamento che riecheggiano nella società, spesso mettendo in discussione stereotipi e influenzando il modo di pensare. Tutte le storie hanno dignità di esistere e il loro potere dipende dal modo in cui vengono raccontate, da chi le racconta, da quante se ne raccontano.
“Quando ci rendiamo conto che non esiste mai un’unica storia, riconquistiamo una sorta di paradiso”.
Chimamanda Ngozi Adichie
Per approfondire l’argomento guarda la diretta Valore D Live. 8 marzo: non più un’unica storia condotta da Simonetta Sciandivasci con le preziose testimonianze di Sumaya Abdel Qader e Kibra Sebhat.