Di gender pay gap si parla il più delle volte come di una realtà esistente soprattutto in ufficio. Tant’è, infatti, che il concetto si riferisce alla differenza tra il salario annuale medio percepito dagli uomini, e quello percepito dalle donne, tenendo conto del tasso di occupazione, della retribuzione oraria, del montante ore complessivo – come se fosse presente unicamente nel mondo del lavoro.
Studi dimostrano invece che il gender pay gap non ha inizio in azienda, ma a casa, durante l’infanzia. A giocare un ruolo fondamentale nella creazione di differenze sono proprio mamma e papà. A dircelo sono i numeri pubblicati da BusyKid, piattaforma online per famiglie con bambini di età compresa tra i 5 e i 17 anni che consente ai genitori di offrire ai figli un contributo economico per svolgere le piccole faccende di casa. Ogni lavoretto ha una tariffa di pagamento suggerita, alcune attività pagano più di altre. E nonostante la remunerazione consigliata si basi sull’età del bambino e non sul sesso, i risultati dell’analisi di milioni di transazioni di 10.000 famiglie sulla piattaforma dicono che i genitori danno ai figli maschi più del doppio di quanto non diano alle figlie, sia in termini di denaro che in termini di bonus. Per essere precisi, i bambini ricevono in media una paghetta settimanale di 13,80 $ a fronte dei 6,71 $ delle bambine. Insomma, un divario retributivo consistente.
Niente di nuovo: già il Rapporto Infazia e Vita Quotidiana dell’Istat ci informava nel 2011 che le ragazze tra i 14 e i 17 anni che ricevono regolarmente la paghetta sono il 42,1%, mentre i ragazzi il 53,1%.
Tra le faccende elencate in BusyKid, compaiono lavarsi i denti, pulire la vasca, rifare il letto, mettere in ordine. La causa del divario potrebbe dipendere dal fatto che le ragazze non sembrano aver bisogno di tanti incentivi per prendersi cura dell’igiene personale e della pulizia della cameretta. Come risultato finale, comunque, per i bambini il denaro diventa un flusso continuo, mentre per le bambine solo un regalo o un premio. Tuttavia, il fatto che un divario retributivo esista e sia così ampio lascia riflettere su un gap che inizia a casa e si consolida poi con la laurea e il primo lavoro: da un lato, ci fa capire un po’ di più perché i maschi sono più inclini a chiedere un aumento. Dall’altro, fa luce sul fatto che il lavoro femminile è quasi scontato e gratuito e che quello maschile è invece retribuito fin dall’infanzia, senza che le bambine vengano abituate a dare un valore monetario alle loro fatiche.
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