A maggio 2017 avveniva nel Regno Unito un importante cambiamento per le donne nel mondo del lavoro: fortemente voluta da Theresa May, una nuova legge imponeva alle grandi imprese di iniziare a raccogliere i dati interni relativi all’eventuale disparità di retribuzioni salariali di genere e la percentuale di impiegati uomini e donne per ogni quartile della loro attività.
La necessità nasceva dal fatto che la Commissione per l’Uguaglianza e i Diritti Umani (EHRC) aveva già reso noto che il divario retributivo fra i generi ammontava nel Regno Unito al 18,1% e il governo britannico si era reso conto che l’azione volontaria per chiudere il gap era ormai in stallo. Un errore, dal momento che, come aveva dichiarato in quell’occasione Justine Greening, Ministro per le Donne e le Pari Opportunità, «aiutare le donne a raggiungere il loro pieno potenziale non è solo la cosa giusta da fare, ma ha anche senso dal punto di vista economico».
Con la nuova legge, le aziende con oltre 250 dipendenti nei servizi e nel settore privato (6.240 in tutto) avrebbero dovuto in teoria pubblicare tutte le informazioni sulla condizione dei loro impiegati entro il 4 aprile 2018. In pratica, non tutte hanno rispettato la scadenza.
Fra quelle che si sono attenute alla deadline, il 78% ha confermato di pagare gli uomini più delle donne, l’8% non ha riportato alcun gap mediano e il 14% ha dichiarato un gap che favorisce le donne.
Alcuni divari di retribuzione coinvolgono anche le aziende più note del Regno Unito. Per esempio, Ryanair ha ammesso di pagare le proprie dipendenti circa il 67% in meno degli uomini, e HSBC il 59% in meno. In parole povere, un’impiegata di HSBC ottiene 41 pounds per ogni sterlina pagata a un uomo.
BT, operatore telefonico britannico, ha riferito di pagare le lavoratrici il 2,3% in più dei lavoratori, mentre grandi catene tra cui Primark, McDonald’s e Costa hanno affermato di non avere divari retributivi di genere.
Rebecca Hilsenrath, Amministratore Delegato di EHRC, ha detto che la nuova legge e le analisi del pay gap sono in atto «per promuovere una migliore uguaglianza di genere sul posto di lavoro». Ad ogni modo, circa 1.500 aziende non hanno rispettato la scadenza prevista dalla legge e non ha ancora reso noti i numeri degli stipendi. L’EHRC ha avvertito che queste imprese sarebbero state soggette a multe e condanne se non avessero comunicato i dati entro maggio, ma non si sa ancora niente sulle pene a cui sono andate incontro – e se delle pene effettivamente vi sono state.