La parola “misgendering” si traduce dall’inglese come un atto in cui ci si riferisce a una persona utilizzando un genere diverso da quello con cui si identifica. Scopriamo di più circa questo fenomeno e capiamo come e perché sia importante evitarlo.
Che cos’è il misgendering?
Quando si parla di misgendering ci si riferisce a un’azione che può avvenire in maniera volontaria oppure per errore: in entrambi i casi, però, si tratta di una pratica spiacevole nei confronti della persona coinvolta. L’uso scorretto di articoli, pronomi e desinenze nei confronti di una persona transgender o non binaria può avere un impatto sulla vita della stessa, giacché crea disagio e potenzialmente un senso di alienazione. Quando il fenomeno avviene in presenza di persone sconosciute lo stress è legato al tipo di comunicazione non rispettosa verso l’individuo e trasmette l’idea di non aver recepito o non voler recepire l’identità di genere con cui la persona desidera essere identificata. Inoltre, in circostanze collettive, le reazioni altrui possono rafforzare l’ambiente ostile.
Una dinamica simile al misgendering si verifica con il fenomeno del deadnaming, cioè usare il nome di battesimo della persona transgender che, invece, desidera essere chiamata con il nuovo nome e non con il nome assegnato alla nascita e che non è più riconosciuto.
Come avviene il misgendering?
A volte, è il risultato di una scarsa educazione alla questione di genere, mentre altre volte si traduce in una serie di pregiudizi e atteggiamenti discriminatori nei confronti della persona transgender o non binaria. La negazione dell’identità e l’uso di un linguaggio inappropriato nei confronti di una persona transgender possono avvenire già tra le mura di casa, con la famiglia che non riesce ad adattarsi alla richiesta di riconoscere il nuovo genere. Lo stesso fenomeno, però, può verificarsi anche nell’ambiente lavorativo, causando pressioni psicologiche che incidono sulla prestazione lavorativa, oltre che sui rapporti sociali tra colleghi/e e sul benessere generale della persona. Altre volte, invece, il misgendering si verifica in maniera sistemica cioè attraverso documenti governativi o moduli ufficiali che mettono a disposizione opzioni di genere limitate. Anche censimenti e questionari che raccolgono dati sull’uso improprio della lingua evidenziano come, in molte circostanze, non si riesca a creare un ambiente inclusivo per le persone transgender o non binarie.
Nel report del Gender Census del 2024 è stata posta per la prima volta una domanda riguardante l’uso dei pronomi: in particolare, se vi fossero delle regole precise per l’utilizzo dei pronomi nei loro confronti. Davanti a questo quesito, molte persone hanno risposto di non curarsene, ma una buona parte delle persone intervistate ha dato una risposta personale più approfondita.
Perché e come evitare il misgendering?
Proprio per questo, è importante rapportarsi con l’uso di forme impersonali con tutte le persone, poiché in questa maniera si ha l’opportunità di capire o chiedere in un secondo momento quale sia la migliore comunicazione da mettere in pratica per non cadere in banali errori o dare vita a situazioni poco piacevoli.
L’uso del corretto pronome dimostra il riconoscimento dell’identità della persona e contribuisce alla creazione di un ambiente inclusivo e valorizzante. Quindi, si tratta di un passo importante per la promozione dell’uguaglianza e del benessere di tutte le persone, indipendentemente dall’identità di genere. Per promuovere l’uso di un linguaggio equo è necessario sensibilizzare sulla tematica, concentrandosi proprio sugli stereotipi di genere che possono avvenire anche sul lavoro e sulle regole di base per comunicare con il linguaggio inclusivo.
Ad oggi, però, non tutte le imprese sono in grado di offrire uno spazio accogliente alle persone della comunità LGBTQIA+. Da un’indagine condotta dall’Istat in collaborazione con UNAR, “Report Discriminazioni LGBT 2021-2022”, è emerso che le persone transgender o con identità di genere non binaria che hanno partecipato al questionario (97,6%) hanno risposto di sentirsi molto o abbastanza discriminati in Italia (80,9% e 16,7%). La percentuale è più alta rispetto a quella annotata per le persone omosessuali (44,1%).
Proprio per questo, è fondamentale sensibilizzare le figure dirigenziali, manager, lavoratori e lavoratrici sull’eliminazione delle disparità e dei pregiudizi basati sull’identità di genere, l’orientamento affettivo e sessuale nel mondo professionale. Per esempio, l’adozione di forme linguistiche “gender fair”, cioè un linguaggio neutro e inclusivo all’interno delle aziende.
A dare prova dell’efficacia di questo tipo di comunicazione vi sono i risultati ottenuti dal progetto “Stili comunicativi e benessere in azienda: maschile generico, doppia declinazione o neutro?” condotto dall’Università Cattolica del Sacro Cuore in collaborazione con Diversity and Inclusion Speaking, Enel Italia e Fastweb. All’interno delle realtà aziendali ci si è concentrati sull’uso della scrittura inclusiva con doppia declinazione e con declinazione neutra (tramite asterisco). Dall’analisi dei dati è emerso un incremento dell’utilizzo della comunicazione gender fair, con le donne più inclini a cambiare il comportamento e la comunicazione in azienda. Grazie alle forme linguistiche impiegate si è dimostrato anche un aumento del senso di appartenenza, dell’impegno sul lavoro e maggiore benessere generale delle persone che lavorano all’interno delle imprese.
Evitare il misgendering: l’importanza del diritto all’autodeterminazione e il concetto di genere
Per concludere e comprendere meglio la pratica del misgendering è importante prendere in considerazione due concetti chiave: quello del genere e dell’autodeterminazione.
La parola “genere”, riportata all’interno del progetto “Non solo parole” di Valore D in collaborazione con Feltrinelli Education, è definita così:
“Il genere, a differenza del sesso biologico, indica un sistema di ruoli sociali definiti sulla base della distinzione tra un’anatomia maschile e una femminile. Con il termine genere si indica anche la percezione che ogni individuo ha di sé e della propria appartenenza al sistema di ruoli sociali di genere culturalmente strutturati e imposti. E, dato che ogni cultura ha la propria codifica di genere, possiamo dire che anche il genere è un fattore culturale, storicamente determinato e in continua evoluzione.”
Il termine “autodeterminazione” viene spiegato in questo modo:
“L’autodeterminazione è la possibilità di ogni comunità o individuo di determinare la propria esistenza secondo i propri bisogni, i propri desideri e aspirazioni. Agli individui e ai gruppi sociali discriminati la società non garantisce questo diritto, che viene allora reclamato anche attraverso le lotte politiche portate avanti da attiviste e attivisti.”
Quello dell’autodeterminazione è un diritto universale che dovrebbe essere garantito a chiunque, ma che spesso viene negato ai gruppi marginalizzati. Le persone transgender e non binarie, per esempio, si scontrano di frequente con pregiudizi sociali, stereotipi e barriere istituzionali che impediscono loro di affermare la propria identità, come nel caso del deadnaming e del misgendering. Negare l’autodeterminazione significa continuare ad escludere e discriminare le persone. Il rispetto dell’identità di genere e dell’autodeterminazione di ogni persona porta chiunque a vivere con dignità, contribuendo alla costruzione di una società dove la diversità è fonte di grande valore e opportunità di crescita.