Diversity Management: che cos’è e come introdurlo in azienda

Con il termine Diversity Management si è soliti indicare le pratiche e politiche adottate da un’organizzazione che hanno lo scopo di promuovere le diversità nei contesti lavorativi. Quando parliamo di diversità non intendiamo esclusivamente quella di genere, bensì anche le diversità anagrafiche, etniche, di orientamento sessuale e affettivo, religiose, culturali e relative alle disabilità visibili e invisibili.  

Le origini del diversity management 

La prima volta che si è parlato di diversity management a livello mondiale è stato nel 1987: l’Hudson Institute pubblicò, attraverso la sua relazione “Workforce 2000”, un rapporto in cui informava la popolazione nordamericana riguardo a quella che sarebbe stata la composizione della forza lavoro nel 2000. In particolare, si menzionava che la nuova forza lavoro sarebbe stata contraddistinta non solo da persone native americane (US) o First Nation (Canada), ma anche da persone afroamericane o ispaniche.  

Nel contesto europeo il concetto di diversity management è stato introdotto invece per la prima volta negli anni Novanta, attraverso l’attività di alcuni gruppi di influenza impegnati nel contrasto alle discriminazioni razziali.  

In quegli stessi anni, a livello europeo vengono compiuti alcuni passi avanti, con le proposte della Commissione Europea di introdurre misure di contrasto alle discriminazioni di genere, specie quelle relative al mondo lavorativo. Al tempo stesso, il tema inizia ad essere sentito anche da tante aziende multinazionali che prendono in considerazione il modello americano, integrando al proprio interno pratiche per la valorizzazione delle diversità.  

In Italia, un piccolo cambiamento si era verificato già con l’introduzione della legge n. 903 del 1977 sulla parità di trattamento tra entrambi i sessi e la creazione successiva del Comitato Nazionale di Parità per l’equo trattamento e l’uguaglianza tra persone di sesso differente.  

Con la legge 125 del 1991 vengono introdotte altre misure utili alla promozione della parità di trattamento tra uomini e donne, con attenzione alle politiche di lavoro e di formazione, mentre in sede europea il rafforzamento di politiche di inclusione e uguaglianza nel contesto lavorativo avviene con la direttiva 2002/73/CE.  

Negli anni seguenti la sensibilità sulla tematica è via via cresciuta con l’introduzione di nuove leggi e l’istituzione di organi preposti alla promozione di questi concetti, come per esempio la figura della Consigliera Nazionale di Parità (2006).  

Nel 2007 l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) ha realizzato il Career Forum “Diversità lavoro” con l’obiettivo di rendere più accessibile il mondo del lavoro per persone con disabilità, di diversa etnia e persone transgender, coinvolgendo imprese e istituzioni. 

In Italia il 5 ottobre del 2009 il Ministro del Lavoro e per le Pari Opportunità, con il sostegno della Consigliera Nazionale di Parità, ha lanciato la Carta per le Pari Opportunità e l’Uguaglianza sul Lavoro, una dichiarazione di intenti che le aziende possono sottoscrivere e ha lo scopo di valorizzare il pluralismo e le pratiche inclusive all’interno delle organizzazioni. 

Nel 2010 è stato istituito il Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni.  

Nel 2015 l’UNAR, nel quadro del progetto di ricerca cofinanziato dall’UE, si è occupata dell’iniziativa Dymove. Grazie a questo progetto sono state avviate diverse iniziative con focus sul diversity management nelle pubbliche amministrazioni e nei trasporti pubblici con l’obiettivo di trattare il tema della discriminazione nel mondo del lavoro. Per esempio, è stata fatta una campagna di comunicazione all’interno dei mezzi di trasporto romani ATAC, ma anche presso le stazioni ferroviarie di Roma Termini, Milano Centrale e sui treni Frecciarossa Milano-Roma e Milano-Napoli.  

In anni più recenti, invece, è stata adottata la Strategia nazionale per le parità di genere 2021-2026 – ispirato al Gender Equality Stategy 2020-2025 dell’UE – che pone tra le priorità di intervento gli ambiti di lavoro, reddito, competenze, tempo e potere. Infatti, oggi più che mai le aziende sono coinvolte in primo piano in questa evoluzione e sono chiamate ad adottare una strategia di diversity management al loro interno. 

Lo sviluppo di politiche di diversity management nel panorama italiano è caratterizzato da cambiamenti graduali ma significativi. Dai dati ISTAT del 2023 si rileva che l’occupazione femminile registrata è in incremento del 1,4 punti percentuali rispetto al 2022 ed ha raggiunto a gennaio 2024 quota 10 milioni 95 mila. Oltre a questa evoluzione, anche la quota di personale straniero è aumentata: infatti, sempre da ISTAT si legge che nel 2023 il tasso di occupazione delle persone con cittadinanza non italiana ha segnato un +1 punto percentuale. Anche le persone con disabilità fanno parte del mondo lavorativo, anche se le percentuali sono ancora basse: infatti, secondo i più recenti dati pubblicati da ISTAT solo il 32,5% di persone di età compresa tra i 15-64 anni risulta occupata. 

Il vero obiettivo del diversity management 

Lo scopo del diversity management è quello di includere persone differenti all’interno dell’ambiente lavorativo. Ciò si traduce nella valorizzazione di ogni singola persona, attraverso l’utilizzo di strumenti o conoscenze specifiche, e l’adozione di politiche aziendali mirate.   

Ad oggi, però, non tutte le realtà imprenditoriali hanno implementato il diversity management all’interno della loro strategia di business e rimane molto lavoro da fare anche in ambito di sensibilizzazione della società nel suo intero.  

Ad esempio, basta guardare lo studio del Global Gender Gap Index pubblicato dal World Economic Forum per capire che in molti paesi vi sono ancora delle forti differenze tra donne e uomini. La situazione italiana denota che nel nostro paese vi è stato un rallentamento importante per quanto riguarda la riduzione del divario di genere, posizionandosi al 37° posto su 40 a livello europeo. A livello globale, invece, l’Italia ha perso 8 posizioni rispetto all’anno precedente, collocandosi all’87esimo posto. Emerge ancora molto forte la necessità di bilanciare la vita privata e professionale tra entrambi i sessi, giacché troppo spesso è prerogativa delle donne occuparsi dei carichi di cura. Inoltre, spesso alle donne non vengono attribuiti ruoli decisionali o retribuzioni adeguate al ruolo che ricoprono nonostante molti studi, tra cui quello di Valore D Oltre le generazioni – esperienze, relazioni, lavoro, dimostrino come le donne spesso siano addirittura più qualificate, con esperienze all’estero e certificazioni superiori, rispetto al genere maschile. 

Ma le aziende sono davvero pronte all’adozione di un ambiente di lavoro più inclusivo per ogni persona? Secondo il sentiment delle lavoratrici raccolto dal medesimo studio di Valore D “Oltre le generazioni – esperienze, relazioni, lavoro”, la popolazione femminile, e in particolare la categoria baby boomer e gen X, si sente poco valorizzata. 

Oltre alla diversità di genere, un altro esempio rappresentativo è connesso alla diversità etnico-culturale. Lo studio di McKinsey del 2024 “Minoranze etnoculturali in Europa: una potenziale triplice vittoria” mette in evidenza che l’inclusione delle minoranze etnoculturali comporta grandi vantaggi (per esempio, crescita aziendale, team più innovativi ed emancipazione economica delle minoranze). Per trarre benefici da team multiculturali e multietnici è però fondamentale garantire pari diritti e opportunità alle persone all’interno delle organizzazioni. I dati riportano che il 66% delle persone di minoranze etnoculturali ha vissuto episodi di razzismo in azienda anche attraverso battute, insulti e commenti offensivi (48%). Il 32% delle persone ha anche constatato disparità occupazionale con retribuzione differente, esclusione dal lavoro di squadra e nessuna promozione (Catalyst, How racism shows up at work and the actions your organization can take, 2023). 

La definizione del ruolo del diversity manager 

Chi si occupa di implementare il diversity management all’interno dell’azienda si chiama diversity manager: il suo ruolo all’interno delle organizzazioni è di responsabile della promozione e della gestione della diversità e dell’inclusione nel contesto lavorativo. Tra le mansioni che deve svolgere vi è l’implementazione di politiche e buone pratiche che possono aiutare a sensibilizzare tutte le persone che lavorano all’interno dell’azienda, a partire dai programmi di formazione interna come corsi e workshops. Inoltre, per garantire un impatto concreto, è importante monitorare e valutare l’efficacia e i risultati delle politiche adottate in azienda, raccogliendo dati e opinioni dai team lavorativi. In questo modo si delineano le aree di intervento che hanno fatto progressi e quelle che necessitano di un miglioramento. 

Con un’esperienza di oltre 15 anni, Valore D offre supporto alle aziende che desiderano valorizzare le proprie risorse e avvicinarsi ai temi DEI: grazie a programmi di formazione e sensibilizzazione, progetti di ricerca, misurazione e comunicazione l’associazione guida le organizzazioni nella creazione di contesti più inclusivi. Perché lo sviluppo di una cultura aziendale rispettosa può aiutare a migliorare le relazioni, sia interne all’azienda sia con gli stakeholder.  

È importante contrastare la resistenza al cambiamento – spesso supportata da bias cognitivi inconsci, con la giusta formazione, diffondendo buone pratiche in tutte le organizzazioni lavorative. 

Il futuro del diversity management 

Le analisi condotte attraverso i gruppi di lavoro e i momenti di incontro organizzati da Valore D per il proprio network evidenziano una tendenza emergente: il termine ‘diversity management’ o ‘diversity manager’ appare sempre più limitante per numerose aziende e professionisti. Molti, infatti, preferiscono focalizzarsi sulla “I” di inclusione e sulla “E” di equità, concetti che evidenziano una prospettiva più ampia e concreta. Altre realtà, invece, scelgono di parlare direttamente di ambiti come “People & Culture” o “Wellbeing”, che includono al loro interno i principi della diversità, dell’equità e dell’inclusione (DEI), ma che permettono un approccio più integrato e orientato al benessere complessivo delle persone. Questo cambiamento di paradigma riflette un’evoluzione nella sensibilità e nei bisogni delle organizzazioni e dei loro collaboratori, suggerendo che il futuro del diversity management risiederà nella sua capacità di trasformarsi e abbracciare nuovi orizzonti. 

Articoli correlati