Denatalità in Italia e nel mondo: significato e cause

La denatalità è un fenomeno che non interessa solo l’Italia, ma tanti paesi di tutto il mondo. Natalità e occupazione femminile sono strettamente collegate: i Paesi con meno disparità di genere, dove le donne sono più occupate e hanno un trattamento più equo sono anche quelli che meglio affrontano la sfida demografica, riportando un più alto tasso di natalità. 

Il significato della denatalità 

Parlare del significato della denatalità vuol dire affrontare una tematica molto complessa come quella dell’occupazione femminile e della discriminazione di genere, elementi che fanno parte della nostra cultura. Letteralmente quando si cita il termine denatalità ci si riferisce alla diminuzione delle nascite in una popolazione. Il fenomeno spesso non è dovuto alla scelta fatta dalle coppie di non fare o fare meno figli, bensì la conseguenza di ostacoli economici, sociali e culturali. Anche se negli ultimi anni vi è stato un aumento del numero di donne che partecipano attivamente nel mercato del lavoro, in realtà in Italia le condizioni occupazionali delle donne e i servizi di welfare rimangono un tema con conseguenze che si concretizzano in un calo del numero delle nascite. Dallo studio “Donne, Lavoro e Sfide Demografiche. Modelli e strategie a sostegno dell’occupazione femminile e della genitorialità” realizzato da Fondazione Gi Group e Gi Group Holding, in collaborazione con Valore D, si evince un quadro complessivo della denatalità, connessa proprio alla situazione occupazionale delle donne. Qui di seguito ecco uno sguardo nel dettaglio di quello che accade in Italia e a livello internazionale.   

La denatalità in Italia 

Analizzando il contesto, si può evidenziare come gli stereotipi culturali circa la maternità e la genitorialità contribuiscono a favorire la denatalità in Italia. Infatti, nella nostra società in maniera più marcata rispetto ad altri paesi europei, è ancora presente la convinzione secondo cui la cura sarebbe un compito di pertinenza femminile. Da qui ecco emergere la penalizzazione nei confronti delle donne che si riversa soprattutto nell’ambito lavorativo. Dallo studio “Donne lavoro e sfide demografiche” si nota come tra il 2009 e il 2021 in Italia vi sia stato un calo delle nascite pari al 30%

Anche guardando a dati più recenti, il calo delle nascite continua a persistere: in Italia nel 2023 la denatalità si è attestata a 14.000 nascite in meno rispetto al 2022 (ISTAT Indicatori demografici 2023, 2024). Dunque, si parla di calo di nascite del -3,6% per il nostro Paese durante lo scorso anno

La denatalità nel mondo 

Sempre dallo studio realizzato dalla Fondazione Gi Group e Gi Group Holding in collaborazione con Valore D, si capisce che tra il 2009 e il 2021 i nuovi nati in Europa sono mediamente calati da oltre 4,6 milioni a poco più di 4 milioni l’anno, con una contrazione pari all’11,5%. Da segnalare anche che è aumentata l’età delle mamme che hanno un primo figlio in UE: se nel 2009 la media era fissata a 28,8 anni, nel 2021 si è spostata in avanti, giungendo a 29,7 anni.  

Non in tutti i Paesi Euopei la situazione è ugualmente critica, infatti, tra 2013 e 2021 in Germania il numero di primi figli è aumentato dell’8,84%, quello dei secondi figli del 20,7%, quello dei terzi figli (o figli successivi) del 31,75%. Nei Paesi Bassi si riscontrano ulteriori dati incoraggianti: +2,47% di primi figli, +3,59% di secondi figli, +13,4% di terzi figli o figli successivi. L’investimento in servizi a sostegno della maternità e genitorialità può senz’altro portare a un miglioramento di queste statistiche. Germania e Svezia ne sono un esempio, poiché queste nazioni investono nella spesa pubblica destinata alle famiglie e nei servizi per l’infanzia, supportando anche la conciliazione tra vita privata e lavoro ed evitando così di far pesare solo sulle donne la cura per la famiglia. 

Proprio per questo i Paesi con il maggior tasso di occupazione femminile, con una presenza più generosa ed adeguata di servizi per la conciliazione, sono anche quelli che registrano tassi di natalità più alti (Fondazione Gi Group e Gi Group Holding in collaborazione con Valore D “Donne lavoro e sfide demografiche 2024”).  

Dati negativi arrivano anche dall’Asia e in particolare spicca la crisi demografica del Giappone. L’Istituto Nazionale di Ricerca Sulla Popolazione e la Previdenza Sociale parla di un nuovo minimo storico di nascite per il Paese: nel 2023 -5,1% di nuovi nati (solo 758.631). Davanti a questa forte crisi il Governo ha annunciato delle misure come il potenziamento dell’assistenza all’infanzia e la promozione di aumenti salariali per le persone più giovani. Anche la Cina ha un problema di denatalità, tanto da far spiccare numeri preoccupanti nel rapporto rilasciato dall’Ufficio Nazionale di statistica della Cina con tabelle che segnano un saldo naturale della popolazione in deficit a -1,48 nati rispetto ai morti per mille abitanti nel 2023.  

Inoltre, la natalità è crollata anche negli Stati Uniti stando ai dati rilasciati dall’ente federale “Centers for Disease Control and Prevention”: infatti, nel 2023 sono stati poco meno di 3,6 milioni le nascite cioè circa 76.000 mila in meno rispetto l’anno precedente, livello più basso toccato dal 1979.  

A differenza di quanto accade in altre regioni del mondo, il tasso di fecondità in Africa diminuisce molto lentamente, un fenomeno dovuto sia a fattori culturali che alla mancanza di risorse per la salute riproduttiva. I dati di UN Population Division, World Population Prospects mettono in luce che in tanti Paesi africani il numero medio di figli per donna è ancora superiore a 4, quasi il doppio della media globale. 

Le cause della denatalità in Italia 

Le ripercussioni dei processi demografici sono evidenti: infatti, tra le principali cause della denatalità in Italia non si può evitare di segnalare la mancanza di sistemi welfare e di politiche familiari più mirate. Le diseguaglianze di genere che si creano all’interno delle realtà aziendali mettono a rischio il futuro lavorativo delle donne con il conseguente disinteresse da parte dell’azienda nell’investire su una giovane donna. Le discriminazioni di genere legate alla genitorialità possono emergere anche come “micro aggressioni verbali”, ad esempio durante i colloqui di selezione, quando le domande vertono sulla vita privata per capire se vi è un “rischio” di futura maternità. Ciò si evidenzia anche da alcuni passaggi della ricerca di Valore D “Oltre le generazioni”. 

È importante che le aziende supportino giovani lavoratrici e lavoratori con azioni concrete che possono mettere sullo stesso piano i genitori che hanno il compito di crescere i propri bambini e bambine. Entrambe le figure devono poter fare affidamento su buone pratiche messe in atto dalla propria azienda. Per esempio, l’estensione della durata del congedo di paternità, lo smart-working e la possibilità di sfruttare degli asili aziendali o avere delle convenzioni con altre strutture possono giovare in questa situazione. L’adozione sempre più ampia di queste buone pratiche aiuterebbe a considerare la maternità e genitorialità non come un pericolo, ma come una ricchezza per il Paese. 

L’impegno aziendale per una società più inclusiva è fondamentale per evitare discriminazioni e favorire anche una ripresa delle nascite. Valore D si impegna con le realtà aziendali italiane per favorire l’adozione di buone pratiche legate alla parità di genere. Inoltre, sulla piattaforma online Younicity di Valore D si può trovare ispirazione da casi di successo, per mettere in atto significative azioni di inclusione. 

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