La giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne diventa un momento fondamentale per riflettere sull’indipendenza femminile.
Alla 4weeks4inclusion, Valore D, in compagnia di Michela Murgia, nel talk “Donne e denaro”: da dove inizia la parità di genere?” mette sotto i riflettori l’importanza dell’emancipazione per tutelarsi dalla violenza economica in famiglia.
“La disparità economica è una delle principali cause di violenza sulle donne che alimenta dipendenze e situazioni d’abuso – commenta Barbara Falcomer, Direttrice generale Valore D –: il primo ostacolo ad un maggiore coinvolgimento delle donne nella gestione finanziaria sono gli stereotipi di genere”.
La violenza economica rende la donna vittima di un costante controllo su come e quanto denaro gestire, il più delle volte attraverso il mancato accesso alle risorse tramite bancomat e carta di credito e con l’impossibilità di conoscere il reddito familiare: conseguenza di un legame economico, che a poco a poco nelle dinamiche quotidiane diviene sempre più stretto come un laccio soffocante. Secondo il termometro di Dire, è il 34% a denunciarlo tra coloro che vengono accolte nei centri antiviolenza, oltre a dichiarare violenza psicologica (79%) e fisica (61%).
(Fonte: “L’altro dominio, quello dei soldi. Inchiesta sulla violenza economica, la più subdola”, lab24.ilsole24ore.com, 25 novembre 2020).
L’importanza dell’indipendenza economica
Il fenomeno riguarda principalmente la fascia d’età compresa tra i 40 e i 60 anni, indipendentemente dal reddito: ne sono vittima, dunque, allo stesso modo, sia professioniste sia casalinghe.
Una cosa però cambia.
Le donne con autonomia economica (che con un marito controllante possono veder aumentare la coercizione, se si sottraggono al loro giogo) sono in grado di uscire prima dal vincolo.
Essere a carico del proprio marito, invece, le vede costrette a subire la violenza per periodi più lunghi: secondo un’indagine sulle donne presenti nei centri antiviolenza, questo succede per 4 donne su 10 nella fascia di età pienamente lavorativa 30-59. Non essere economicamente indipendenti, quindi, porta ad avere meno libertà sia nel gestire i rapporti finanziari che le trappole della sottomissione economica.
(Fonte: Esame delle proposte di legge sulle Disposizioni per l’inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza di genere. Audizione dell’Istituto nazionale di statistica Dott.ssa Linda Laura Sabbadini. Febbraio 2022).
Donne e denaro: ancora un “tabu'”
In Italia una donna su tre non possiede una fonte di reddito personale. Tra queste soltanto il 26% ha autonomia decisionale in famiglia, il 79% tende a condividere le scelte con il partner: lo mette nero su bianco un report fatto dall’ Università Cattolica del Sacro Cuore e Banca Widiba “Donne e denaro: una sfida per l’inclusione”.
Una situazione in cui gli stereotipi di genere arrivano ad essere spesso fortemente interiorizzati, tanto da essere vissuti senza quasi rendersene conto: loro gestiscono le spese quotidiane mentre gli uomini i grandi patrimoni/investimenti. Nasce così il primo ostacolo ad un maggiore coinvolgimento delle donne nella gestione finanziaria: disequilibrio che negli anni le ha rese sempre più lontane e meno informate rispetto agli uomini, rendendo il tema del denaro un vero e proprio argomento “tabù” soprattutto fuori il circuito familiare, tanto per discrezione quanto per un fattore “educativo”.
(Fonte: Università Cattolica del Sacro Cuore e Banca Widiba, Donne e denaro: una sfida per l’inclusione, aprile 2022).
Educare le nuove generazioni
Educare le giovani donne alla gestione delle finanze, rendendole consapevoli delle proprie capacità e del proprio valore economico può, dunque, contribuire a dar loro maggiore libertà.
“Un impegno che deve partire dall’istruzione e dalla formazione delle nuove generazioni e che, come Valore D, portiamo già sui banchi di scuola per smantellare quei pregiudizi inconsapevoli che perpetuano la condizione di disparità nella nostra società – commenta Cristiana Scelza, Presidente Valore D – occorre un lungo e profondo lavoro culturale per impiegare le donne nei settori lavorativi a cui ambiscono – compresi quelli ancora considerati a torto da “uomini” come ad esempio il mondo STEM – e permettere loro l’indipendenza economica, che molte ancora non hanno”.
La situazione preoccupante, del resto, dipende anche dal fattore maternità tanto da essere considerata spesso una vera e propria penalizzazione: lo scorso anno al sud l’occupazione delle donne con bambini sotto i sei anni era al 35.3%, al centro il 62.7%, al Nord 64.3% (Fonte: Istat, BES, 2021).
Chi lavora lo fa part-time, oppure finisce per dismettere la propria carriera.
Fa eccezione chi, pur zavorrata del divario retributivo di genere – in Italia è stimato al 16,5%, (superiore alla media europea di circa 3 punti percentuali) – lavora al pari degli uomini, combattendo la battaglia tanto per oggi quanto per domani: l’annullamento del gender gap a livello globale, infatti, ci sarà solo tra 132 anni.