Se le donne potessero all’improvviso lavorare quanto gli uomini, dice uno studio della Harvard Business Review, entro il 2025 il Pil mondiale crescerebbe di 28.000 miliardi di dollari e l’economia mondiale del 35 per cento. Ma non possono. Un antico tema il cui nodo resta tristemente attuale. E infatti, all’ultimo Jobless Society Forum organizzato a Milano dalla Fondazione Feltrinelli si è parlato di questo: lavoro del futuro e diversità di genere.
Il gender gap persiste in maniera trasversale in molti settori
«La nostra società, globalizzata e accelerata, pone sfide sempre nuove al mondo economico, alla politica, alle imprese», spiega Annalisa Dordoni, dell’Università di Trento, che lavora sulle questioni di genere dai primi passi della sua carriera accademica. «Il 51 per cento dei laureati sono donne ma poi, salendo di posizione nella carriera accademica, la loro presenza si contrae: le assegniste di ricerca sono il 44,4 per cento del totale, le ricercatrici il 36,5 per cento, le associate il 30,8 per cento». Le docenti ordinarie – il grado più alto – appena il 17,4 per cento. Questa è la storia di tante ragazze che avevano un sogno, poi diventano donne e spariscono.
Dall’università come da altre professioni. «In Italia, solo il 20 per cento dei dirigenti è di sesso femminile. Una su cinque. In Europa sono una su tre», commenta Roberto D’Incau, headhunter e consulente del lavoro. «È un problema di cultura dominante: in Italia siamo ben lontani dal raggiungere una equa divisione degli incarichi in casa: noi uomini in media facciamo il 30 per cento, le donne il 70. Senza contare che spesso le carriere sono favorite da una componente relazionale e di networking più facile per un uomo che per una donna».
Alla fonte, c’è anche un problema di studi
«Le discipline tecnologiche e scientifiche, danno più facilmente accesso a un certo percorso professionale, ma sono meno apprezzate dalle ragazze»; Sceglie un percorso STEM solo il 18% delle studentesse universitarie (dati Talentsventure.com). Piccoli passi avanti, per fortuna, sono stati fatti.
Secondo i dati di Valore D, associazione di imprese che promuove la diversità, il talento e la leadership femminile, nel nostro Paese l’occupazione femminile è a quota 48,8 per cento. Era al 20 per cento negli Anni 60. Se salisse al 60 per cento, avremmo un punto in più di Pil. Potrebbe valerne la pena.