Le donne guadagnano ancora meno degli uomini. Ma a sostenere un’inversione di rotta potrebbe contribuire una proposta di legge volta a contrastare il divario retributivo di genere presentata a maggio scorso alla Camera dei deputati e destinata a essere esaminata dalla commissione lavoro nelle prossime settimane. Ne parla Ilaria Iaquinta sul Mag di legalcommunity.it di luglio.
Come si quantifica, innanzitutto, il gender pay gap? L’Ocse prende in considerazione il differenziale nel salario orario dei lavoratori a tempo pieno, per l’Italia il gap è del 5,6%. L’Eurostat invece tiene conto, oltre che della retribuzione oraria, della disoccupazione femminile e delle occupazioni part-time e quantifica il gender gap al 4,1% nel settore pubblico e a oltre al 20% nel privato.
Le misure della proposta
Tra le misure della proposta, l’obbligo per le imprese con più di 15 dipendenti di adottare un piano di azioni per la parità salariale tra uomini e donne e di comunicare ai lavoratori, alle rappresentanze sindacali e agli organismi di parità competenti, con cadenza annuale ed eventualmente anche su richiesta, una serie di informazioni volte a mostrare le differenze di salari tra uomini e donne, suddivisi per mansione e tipo di lavoro. La proposta prevede inoltre misure premiali per le aziende virtuose (tra cui il rilascio della certificazione di “Impresa per le pari opportunità per il lavoro” da parte del Comitato Nazionale di Parità) e sanzioni più idonee, rispetto alle attuali, a disincentivare le violazioni.ù
La situazione odierna
L’attuale quadro normativo italiano prevede, con il decreto legislativo n.198/2006, che solo le imprese con più di 100 dipendenti siano obbligate a redigere e trasmettere, con cadenza almeno biennale, il rapporto sulla situazione lavorativa maschile e femminile presente in azienda. Questo provvedimento, meglio noto come il Codice delle pari opportunità, tuttavia, non ha avuto finora un enforcement tale da cambiare la situazione visto che il gender pay gap è ancora un problema nel nostro Paese. La ragione di ciò è da individuarsi, spiega Edgardo Ratti, co-managing partner di Littler «oltre che in un dato purtroppo culturale, nella mancanza di incentivi per le imprese virtuose come quelli previsti dalla nuova proposta di legge e nell’assenza di sanzioni significative a carico delle aziende inadempienti».
Se la proposta in mano alla Camera diventasse legge sarebbe un bene, secondo Emilia Rio, direttore risorse umane, hse, organizzazione e change management di A2A, che commenta: «Questi provvedimenti da parte dei governi sono più che apprezzati perché alzano il livello dell’attenzione pubblica dei diversi stakeholder». L’utilità di questa proposta di legge è, ad avviso dell’esperta, legata soprattutto al focus specifico sulle realtà più piccole. «Le imprese con dimensioni più rilevanti sono soggette in misura minore a discriminazione di genere rispetto a quelle di dimensioni più contenute, tra i motivi c’è l’attenzione particolare alla reputazione».
La conferma dall’Harvard Business Review
Avere la consapevolezza dell’esistenza di questo divario è sicuramente il primo passo. Sulla stessa linea uno studio condotto dall’Harvard Business Review, il primo studio empirico sull’impatto della trasparenza salariale obbligatoria. I risultati di tale studio suggeriscono che la comunicazione delle disparità retributive di genere riduce di fatto il divario stesso.
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