Qual è lo stato di salute dell’Italia? La ventisettesima edizione del Rapporto Istat propone come chiave di lettura quella dell’interazione tra risorse, fragilità, e opportunità per creare una crescita robusta, inclusiva e sostenibile.In generale, desta allarme una possibile contrazione del Pil, la recessione demografica e i nuovi rapporti tra le generazioni. Una fotografia sull’economia, il lavoro, le abitudini e lo stile di vita dell’Italia. Ecco i principali contenuti.
Il crollo demografico
Fuori dall’analisi sulla congiuntura economica, il Rapporto dedica un ampio spazio alle prospettive demografiche, la cui incidenza sul potenziale di crescita economia è sempre più al centro del dibattito pubblico. A livello mondiale l’Italia contende al Giappone il record di invecchiamento: 165 persone di 65 anni e più ogni 100 giovani con meno di 15 anni per l’Italia e 210 per il Giappone, al 1° gennaio 2017. Gli scenari indicano che la popolazione nel 2050 risulterà inferiore a quella odierna, scendendo da 60,4 milioni al 1° gennaio 2019 a 60,3 milioni nel 2030. La transizione nell’età anziana delle generazioni del baby boom, oggi nella fase adulta della vita, è la principale determinante del futuro invecchiamento della popolazione.
Sei milioni di attivi in meno nel 2050
Le conseguenze sono importanti per la popolazione in età attiva, che subirà un’intensa riduzione della forza lavoro potenziale. Nei prossimi anni le persone in uscita risulteranno numericamente superiori a quelle in ingresso, si tratta di oltre 6 milioni di persone in meno nella popolazione in età da lavoro. L’Italia – si sottolinea con preoccupazione nel Rapporto – si ritroverebbe tra i pochi paesi al mondo a sperimentare una significativa riduzione della popolazione in età lavorativa.
I giovani escono dalla famiglia sempre più tardi sperimentando percorsi di vita «meno lineari del passato», che spostano in avanti le tappe di transizione allo stato adulto, ha evidenziato l’Istat, spiegando che più della metà de 20-34enni (5,5 milioni), celibi e nubili, vive con almeno un genitore.
A partire dall’istruzione si sottolinea che nel 2018 il 42,1% dei laureati 20-34enni occupati e non più in istruzione è interessato da un “mismatch”, che ha la forma della sovra-istruzione, visto che il titolo di studio posseduto è superiore a quello richiesto. Si tratta, spiega l’Istat, di «un livello superiore di più di dieci punti percentuali rispetto a quello della popolazione laureata adulta, con una netta prevalenza femminile».