Nomine del Consiglio Superiore di Sanità, occasione persa per la parità di genere

Il Ministero della Salute ha nominato i 30 membri non di diritto del Consiglio Superiore di Sanità: il primo dato che salta agli occhi è la ridotta presenza delle donne, un misero 10%, 3 su 30, tra professione medica ed infermieristica, in eclatante controtendenza non solo con il precedente Consiglio ma con una presenza femminile largamente maggioritaria nella sanità italiana, espressione del cambiamento che sta attraversando la professione medica.

Il Ministero sottolinea come la scelta sia stata operata con una procedura internazionale in blind basata su titoli e competenze. «La selezione ha privilegiato personalità di chiara fama» ha dichiarato il ministro Grillo. Colpisce tuttavia che le donne chiamate siano solo tre. In Italia non mancano le scienziate, ci si potrebbe chiedere quale sia il peso o il reale significato di «chiara fama».

 

Il ministro Giulia Grillo

 

Grillo spiega: «Non ho guardato al sesso, noi come movimento politico non siamo per le quote rosa. Conta la capacità, che prescinde dall’essere maschio o femmina. Sarebbe potuto succedere il contrario se nella classifica dei top scientist avessimo trovato figure di donne. Per quanto mi riguarda, preferirei essere selezionata su questa base e non per genere».

 

Non si tratta di invocare “quote rosa” tout-court, che, sottolineiamo, è più corretto chiamare quote di genere. Tale criterio tuttavia, sembra permettere di selezionare personalità che non hanno accesso agli incarichi più che altro per deficit di notorietà. In altre parole, il sistema soffre di un bias cognitivo a causa del quale tende sempre a selezionare in un ambito sperimentato.

 

Ma ci sono studi che dimostrano che le quote di genere fanno guadagnare in performance le aziende che le adottano, alzando il valore dei titoli dei candidati e abbassando l’età media dei Cda (favorendo l’ingresso anche a uomini giovani).

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